“Ci illustrò la terapia da seguire, ci raccontò anche le vicende di altri suoi pazienti e ribadì che non avremmo dovuto parlare con nessuno delle somministrazioni farmacologiche sia delle donazioni di denaro in suo favore, altrimenti avrebbe bloccato tutto. Fu proprio questa grave affermazione ad intimorire mio padre e me tanto che da quel momento in poi ci saremmo sentiti soggiogati dal dott. Rizzi non chiedendoli più fatture o ricevute di alcun genere e senza mai contestare il suo operato”.
Sono le parole del figlio di Ottavio Gaggiotti, ex dipendente di una banca a Foggia, morto di cancro lo scorso febbraio 2020. L’uomo era in cura dall’oncologo di origine bitontina, Giuseppe Rizzi, che è stato arrestato dai carabinieri per concussione aggravata e continuata, per aver preteso denaro, regali e altre utilità, in cambio della somministrazione di farmaci salvavita, in realtà medicinale gratuito a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Lo stesso per cui, invece, l’oncologo si faceva pagare per ogni somministrazione 900 euro “a cui si aggiungeva in svariati casi – si legge nell’ordinanza – il pagamento della prestazione”.
“Non sarebbe mai morto a causa del tumore”, erano queste le promesse illusorie del dottore, secondo quanto racconta il figlio di Gaggiotti. Infatti, l’oncologo aveva presentato la terapia come “l’unica via percorribile, mettendolo così di fronte ad un vero e proprio aut aut fra la prosecuzione delle cure salvavita” e “la minor aspettativa di vita nel caso di omesso pagamento”. Un medicinale “efficace che solo lui e nessun altro era in grado di fornirgli”.
Per di più, “non avrebbe dovuto rivolgersi a nessun altro medico o professionista, perché era già in ottime mani”, cioè le sue. Insomma, un vero abuso delle gravi condizioni di salute e di estrema vulnerabilità del paziente con conseguente compromissione della sua libertà, quindi delle sue capacità di reazione. Fu proprio questo a spingere il figlio di Gaggiotti a far partire la denuncia-querela lo scorso febbraio 2021. A seguire, il licenziamento dall’Istituto Tumori IRCCS “Giovanni Paolo II” di Bari” e l’arresto dell’oncologo che risulta ancora iscritto all’Ordine dei medici di Bari.
Registrazioni video delle somministrazioni del farmaco, screenshot delle conversazioni su whatsapp, chiamate registrate, estratto conto telepass relativo ai viaggi autostradali coincidenti con le visite al medico e con le datazioni di denaro contante pagate dalla vittima, foto di due fiale consegnate dall’oncologo per la somministrazione al paziente, tuttavia rimaste inutilizzate. È questa la documentazione raccolta dal figlio di Ottavio a testimonianza dell’accaduto.
Da questi documenti si evince che risalgono al 22 dicembre 2018 le prime iniezioni. 54 le sedute, fatte tra l’ospedale barese, la sede del Caf gestito dalla compagna dell’oncologo -per cui, invece, non è partito alcun provvedimento di custodia cautelare per aver ricoperto “un ruolo meramente ancillare”- e la loro villa e durate fino a giugno 2019, sono costate alla famiglia Gaggiotti 127.600.00 euro: ai pagamenti hanno contribuito anche diversi parenti della vittima, che fu costretta a chiedere anche un prestito di 55 mila euro in banca.
“Mio padre – racconta ancora il figlio – per un momento aveva anche pensato di vendere la nostra casa di famiglia, ma per fortuna non l’ha più fatto”. Quando la vittima aveva rappresentato “difficoltà nel reperimento di denaro contante”, il medico aveva richiesto “l’esecuzione di lavori edili del valore di 8 mila euro consistiti nella fornitura e posa in opera di rivestimenti interni ed esterni e di pitturazione delle pareti” all’interno “della villa di sua proprietà a Bari – Palese”. E “l’inquietante personalità amorale”, come si legge nell’ordinanza, e “il mancato senso di umanità” sono stati dimostrati anche in queste circostanze in cui l’oncologo minacciava il paziente “prospettandone la morte qualora il lavoro non fosse stato fatto a regola d’arte, facendo cioè leva sempre sul suo preteso potere di interrompere le cure”. A ciò si aggiunge anche l’acquisto di un iPhone 8 del valore di 549 euro.
Dopo la morte del signor Gaggiotti, il 9 febbraio 2020, il figlio “richiese di acquisire copia della cartella clinica” del padre dall’Istituto oncologico di Bari e, in quella occasione: “Ricevetti ben 13 chiamate dal dott. Rizzi al quale non risposi e messaggi whatsapp sia dal medico che dalla compagna nei quali mi chiedevano di poter avere un incontro o un colloquio telefonico. Io non ho risposto e da allora entrambi non si sono fatti più sentire”.
“Ci illustrò la terapia da seguire, ci raccontò anche le vicende di altri suoi pazienti e ribadì che non avremmo dovuto parlare con nessuno delle somministrazioni farmacologiche sia delle donazioni di denaro in suo favore, altrimenti avrebbe bloccato tutto. Fu proprio questa grave affermazione ad intimorire mio padre e me tanto che da quel momento in poi ci saremmo sentiti soggiogati dal dott. Rizzi non chiedendoli più fatture o ricevute di alcun genere e senza mai contestare il suo operato”.
Sono le parole del figlio di Ottavio Gaggiotti, ex dipendente di una banca a Foggia, morto di cancro lo scorso febbraio 2020. L’uomo era in cura dall’oncologo di origine bitontina, Giuseppe Rizzi, che è stato arrestato dai carabinieri per concussione aggravata e continuata, per aver preteso denaro, regali e altre utilità, in cambio della somministrazione di farmaci salvavita, in realtà medicinale gratuito a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Lo stesso per cui, invece, l’oncologo si faceva pagare per ogni somministrazione 900 euro “a cui si aggiungeva in svariati casi – si legge nell’ordinanza – il pagamento della prestazione”.
“Non sarebbe mai morto a causa del tumore”, erano queste le promesse illusorie del dottore, secondo quanto racconta il figlio di Gaggiotti. Infatti, l’oncologo aveva presentato la terapia come “l’unica via percorribile, mettendolo così di fronte ad un vero e proprio aut aut fra la prosecuzione delle cure salvavita” e “la minor aspettativa di vita nel caso di omesso pagamento”. Un medicinale “efficace che solo lui e nessun altro era in grado di fornirgli”.
Per di più, “non avrebbe dovuto rivolgersi a nessun altro medico o professionista, perché era già in ottime mani”, cioè le sue. Insomma, un vero abuso delle gravi condizioni di salute e di estrema vulnerabilità del paziente con conseguente compromissione della sua libertà, quindi delle sue capacità di reazione. Fu proprio questo a spingere il figlio di Gaggiotti a far partire la denuncia-querela lo scorso febbraio 2021. A seguire, il licenziamento dall’Istituto Tumori IRCCS “Giovanni Paolo II” di Bari” e l’arresto dell’oncologo che risulta ancora iscritto all’Ordine dei medici di Bari.
Registrazioni video delle somministrazioni del farmaco, screenshot delle conversazioni su whatsapp, chiamate registrate, estratto conto telepass relativo ai viaggi autostradali coincidenti con le visite al medico e con le datazioni di denaro contante pagate dalla vittima, foto di due fiale consegnate dall’oncologo per la somministrazione al paziente, tuttavia rimaste inutilizzate. È questa la documentazione raccolta dal figlio di Ottavio a testimonianza dell’accaduto.
Da questi documenti si evince che risalgono al 22 dicembre 2018 le prime iniezioni. 54 le sedute, fatte tra l’ospedale barese, la sede del Caf gestito dalla compagna dell’oncologo -per cui, invece, non è partito alcun provvedimento di custodia cautelare per aver ricoperto “un ruolo meramente ancillare”- e la loro villa e durate fino a giugno 2019, sono costate alla famiglia Gaggiotti 127.600.00 euro: ai pagamenti hanno contribuito anche diversi parenti della vittima, che fu costretta a chiedere anche un prestito di 55 mila euro in banca.
“Mio padre – racconta ancora il figlio – per un momento aveva anche pensato di vendere la nostra casa di famiglia, ma per fortuna non l’ha più fatto”. Quando la vittima aveva rappresentato “difficoltà nel reperimento di denaro contante”, il medico aveva richiesto “l’esecuzione di lavori edili del valore di 8 mila euro consistiti nella fornitura e posa in opera di rivestimenti interni ed esterni e di pitturazione delle pareti” all’interno “della villa di sua proprietà a Bari – Palese”. E “l’inquietante personalità amorale”, come si legge nell’ordinanza, e “il mancato senso di umanità” sono stati dimostrati anche in queste circostanze in cui l’oncologo minacciava il paziente “prospettandone la morte qualora il lavoro non fosse stato fatto a regola d’arte, facendo cioè leva sempre sul suo preteso potere di interrompere le cure”. A ciò si aggiunge anche l’acquisto di un iPhone 8 del valore di 549 euro.
Dopo la morte del signor Gaggiotti, il 9 febbraio 2020, il figlio “richiese di acquisire copia della cartella clinica” del padre dall’Istituto oncologico di Bari e, in quella occasione: “Ricevetti ben 13 chiamate dal dott. Rizzi al quale non risposi e messaggi whatsapp sia dal medico che dalla compagna nei quali mi chiedevano di poter avere un incontro o un colloquio telefonico. Io non ho risposto e da allora entrambi non si sono fatti più sentire”.
“Ci illustrò la terapia da seguire, ci raccontò anche le vicende di altri suoi pazienti e ribadì che non avremmo dovuto parlare con nessuno delle somministrazioni farmacologiche sia delle donazioni di denaro in suo favore, altrimenti avrebbe bloccato tutto. Fu proprio questa grave affermazione ad intimorire mio padre e me tanto che da quel momento in poi ci saremmo sentiti soggiogati dal dott. Rizzi non chiedendoli più fatture o ricevute di alcun genere e senza mai contestare il suo operato”.
Sono le parole del figlio di Ottavio Gaggiotti, ex dipendente di una banca a Foggia, morto di cancro lo scorso febbraio 2020. L’uomo era in cura dall’oncologo di origine bitontina, Giuseppe Rizzi, che è stato arrestato dai carabinieri per concussione aggravata e continuata, per aver preteso denaro, regali e altre utilità, in cambio della somministrazione di farmaci salvavita, in realtà medicinale gratuito a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Lo stesso per cui, invece, l’oncologo si faceva pagare per ogni somministrazione 900 euro “a cui si aggiungeva in svariati casi – si legge nell’ordinanza – il pagamento della prestazione”.
“Non sarebbe mai morto a causa del tumore”, erano queste le promesse illusorie del dottore, secondo quanto racconta il figlio di Gaggiotti. Infatti, l’oncologo aveva presentato la terapia come “l’unica via percorribile, mettendolo così di fronte ad un vero e proprio aut aut fra la prosecuzione delle cure salvavita” e “la minor aspettativa di vita nel caso di omesso pagamento”. Un medicinale “efficace che solo lui e nessun altro era in grado di fornirgli”.
Per di più, “non avrebbe dovuto rivolgersi a nessun altro medico o professionista, perché era già in ottime mani”, cioè le sue. Insomma, un vero abuso delle gravi condizioni di salute e di estrema vulnerabilità del paziente con conseguente compromissione della sua libertà, quindi delle sue capacità di reazione. Fu proprio questo a spingere il figlio di Gaggiotti a far partire la denuncia-querela lo scorso febbraio 2021. A seguire, il licenziamento dall’Istituto Tumori IRCCS “Giovanni Paolo II” di Bari” e l’arresto dell’oncologo che risulta ancora iscritto all’Ordine dei medici di Bari.
Registrazioni video delle somministrazioni del farmaco, screenshot delle conversazioni su whatsapp, chiamate registrate, estratto conto telepass relativo ai viaggi autostradali coincidenti con le visite al medico e con le datazioni di denaro contante pagate dalla vittima, foto di due fiale consegnate dall’oncologo per la somministrazione al paziente, tuttavia rimaste inutilizzate. È questa la documentazione raccolta dal figlio di Ottavio a testimonianza dell’accaduto.
Da questi documenti si evince che risalgono al 22 dicembre 2018 le prime iniezioni. 54 le sedute, fatte tra l’ospedale barese, la sede del Caf gestito dalla compagna dell’oncologo -per cui, invece, non è partito alcun provvedimento di custodia cautelare per aver ricoperto “un ruolo meramente ancillare”- e la loro villa e durate fino a giugno 2019, sono costate alla famiglia Gaggiotti 127.600.00 euro: ai pagamenti hanno contribuito anche diversi parenti della vittima, che fu costretta a chiedere anche un prestito di 55 mila euro in banca.
“Mio padre – racconta ancora il figlio – per un momento aveva anche pensato di vendere la nostra casa di famiglia, ma per fortuna non l’ha più fatto”. Quando la vittima aveva rappresentato “difficoltà nel reperimento di denaro contante”, il medico aveva richiesto “l’esecuzione di lavori edili del valore di 8 mila euro consistiti nella fornitura e posa in opera di rivestimenti interni ed esterni e di pitturazione delle pareti” all’interno “della villa di sua proprietà a Bari – Palese”. E “l’inquietante personalità amorale”, come si legge nell’ordinanza, e “il mancato senso di umanità” sono stati dimostrati anche in queste circostanze in cui l’oncologo minacciava il paziente “prospettandone la morte qualora il lavoro non fosse stato fatto a regola d’arte, facendo cioè leva sempre sul suo preteso potere di interrompere le cure”. A ciò si aggiunge anche l’acquisto di un iPhone 8 del valore di 549 euro.
Dopo la morte del signor Gaggiotti, il 9 febbraio 2020, il figlio “richiese di acquisire copia della cartella clinica” del padre dall’Istituto oncologico di Bari e, in quella occasione: “Ricevetti ben 13 chiamate dal dott. Rizzi al quale non risposi e messaggi whatsapp sia dal medico che dalla compagna nei quali mi chiedevano di poter avere un incontro o un colloquio telefonico. Io non ho risposto e da allora entrambi non si sono fatti più sentire”.
“Ci illustrò la terapia da seguire, ci raccontò anche le vicende di altri suoi pazienti e ribadì che non avremmo dovuto parlare con nessuno delle somministrazioni farmacologiche sia delle donazioni di denaro in suo favore, altrimenti avrebbe bloccato tutto. Fu proprio questa grave affermazione ad intimorire mio padre e me tanto che da quel momento in poi ci saremmo sentiti soggiogati dal dott. Rizzi non chiedendoli più fatture o ricevute di alcun genere e senza mai contestare il suo operato”.
Sono le parole del figlio di Ottavio Gaggiotti, ex dipendente di una banca a Foggia, morto di cancro lo scorso febbraio 2020. L’uomo era in cura dall’oncologo di origine bitontina, Giuseppe Rizzi, che è stato arrestato dai carabinieri per concussione aggravata e continuata, per aver preteso denaro, regali e altre utilità, in cambio della somministrazione di farmaci salvavita, in realtà medicinale gratuito a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Lo stesso per cui, invece, l’oncologo si faceva pagare per ogni somministrazione 900 euro “a cui si aggiungeva in svariati casi – si legge nell’ordinanza – il pagamento della prestazione”.
“Non sarebbe mai morto a causa del tumore”, erano queste le promesse illusorie del dottore, secondo quanto racconta il figlio di Gaggiotti. Infatti, l’oncologo aveva presentato la terapia come “l’unica via percorribile, mettendolo così di fronte ad un vero e proprio aut aut fra la prosecuzione delle cure salvavita” e “la minor aspettativa di vita nel caso di omesso pagamento”. Un medicinale “efficace che solo lui e nessun altro era in grado di fornirgli”.
Per di più, “non avrebbe dovuto rivolgersi a nessun altro medico o professionista, perché era già in ottime mani”, cioè le sue. Insomma, un vero abuso delle gravi condizioni di salute e di estrema vulnerabilità del paziente con conseguente compromissione della sua libertà, quindi delle sue capacità di reazione. Fu proprio questo a spingere il figlio di Gaggiotti a far partire la denuncia-querela lo scorso febbraio 2021. A seguire, il licenziamento dall’Istituto Tumori IRCCS “Giovanni Paolo II” di Bari” e l’arresto dell’oncologo che risulta ancora iscritto all’Ordine dei medici di Bari.
Registrazioni video delle somministrazioni del farmaco, screenshot delle conversazioni su whatsapp, chiamate registrate, estratto conto telepass relativo ai viaggi autostradali coincidenti con le visite al medico e con le datazioni di denaro contante pagate dalla vittima, foto di due fiale consegnate dall’oncologo per la somministrazione al paziente, tuttavia rimaste inutilizzate. È questa la documentazione raccolta dal figlio di Ottavio a testimonianza dell’accaduto.
Da questi documenti si evince che risalgono al 22 dicembre 2018 le prime iniezioni. 54 le sedute, fatte tra l’ospedale barese, la sede del Caf gestito dalla compagna dell’oncologo -per cui, invece, non è partito alcun provvedimento di custodia cautelare per aver ricoperto “un ruolo meramente ancillare”- e la loro villa e durate fino a giugno 2019, sono costate alla famiglia Gaggiotti 127.600.00 euro: ai pagamenti hanno contribuito anche diversi parenti della vittima, che fu costretta a chiedere anche un prestito di 55 mila euro in banca.
“Mio padre – racconta ancora il figlio – per un momento aveva anche pensato di vendere la nostra casa di famiglia, ma per fortuna non l’ha più fatto”. Quando la vittima aveva rappresentato “difficoltà nel reperimento di denaro contante”, il medico aveva richiesto “l’esecuzione di lavori edili del valore di 8 mila euro consistiti nella fornitura e posa in opera di rivestimenti interni ed esterni e di pitturazione delle pareti” all’interno “della villa di sua proprietà a Bari – Palese”. E “l’inquietante personalità amorale”, come si legge nell’ordinanza, e “il mancato senso di umanità” sono stati dimostrati anche in queste circostanze in cui l’oncologo minacciava il paziente “prospettandone la morte qualora il lavoro non fosse stato fatto a regola d’arte, facendo cioè leva sempre sul suo preteso potere di interrompere le cure”. A ciò si aggiunge anche l’acquisto di un iPhone 8 del valore di 549 euro.
Dopo la morte del signor Gaggiotti, il 9 febbraio 2020, il figlio “richiese di acquisire copia della cartella clinica” del padre dall’Istituto oncologico di Bari e, in quella occasione: “Ricevetti ben 13 chiamate dal dott. Rizzi al quale non risposi e messaggi whatsapp sia dal medico che dalla compagna nei quali mi chiedevano di poter avere un incontro o un colloquio telefonico. Io non ho risposto e da allora entrambi non si sono fatti più sentire”.