Ennesimo importante traguardo per Mimmo Mancini e per il suo Ameluk. Dopo aver raccolto in tutta Italia tanti consensi e riconoscimenti, il film girato quasi interamente tra Bitonto e Mariotto, lo scorso 8 aprile, il lungometraggio è stato proiettato allo Union City Performing Arts Center di Union City, nello stato del New Jersey, in occasione dell’edizione 2017 del NoHu International Film Festival. Alla proiezione, nell’accademia di arte che si erge vicino il fiume Hudson, hanno partecipato il sindaco della città, Brian P. Stack e i membri della commissione della contea di Hudson, che hanno donato a Mancini una targa.
«Ameluk sbarca sull’ Hudson River, di fronte a Manhattan.Un piccolo film che racconta una piccola storia di provincia più che mai attuale, soprattutto in una grande nazione in bilico tra razzismo e senso civile. Ogni caso nasce per caso, ma mai nulla accade a caso» è stato il commento su Facebook del cineasta concittadino che, intervistato da Maddalena Maltese su La Voce di New York, giornale online in lingua italiana e inglese, ha parlato di «un film che serve anche all’America di Trump».
La giornalista presenta l’opera di Mimmo Mancini come «una pellicola ironica e vera contro i pregiudizi e il razzismo» e ricorda i legami del regista con il New Jersey (parte della famiglia, sorelle e madre, risiede in New Jersey).
Il film, ricordiamo, è ambientato a Mariotto. Qui, durante la processione del Venerdì santo, l’attore che avrebbe dovuto interpretare il Cristo subisce un incidente e un ragazzo di religione islamica viene chiamato a prendere il suo posto. Fatto che scatena le più impensate reazioni di ostilità. «Nel microcosmo di questo comune si fotografa una delle realtà più scottanti non solo per l’Europa ma anche per la grande America» commenta la redattrice.
La tappa americana di Ameluk nasce, come spiega Mancini, da un incontro con il montaggista Mauro Di Prizzo: «Quando nel 2011 ero venuto negli States avevo in mente di girare un promo su Ameluk e mi ero portato dietro scene di processioni, le musiche delle bande, tante immagini del paese. Mauro nel 2015 ha iscritto a mia insaputa il mio corto sulla disabilità “U su” al Nord Hudson Film Festival e ho vinto, a sorpresa, il premio come miglior film e miglior attore. Il direttore artistico Lucio Fernandez è rimasto colpito sia dal corto che dall’interpretazione e mi ha voluto conoscere e ha soprattutto ha voluto che Ameluk venisse proiettato in una serata legata al festival, anche perché un film del genere sembra scritto proprio per gli USA dopo le elezioni di Trump. Tutto nasce per caso ma mai nulla è a caso nella mia vita e nella mia carriera».
Dunque, come ribadito, gli Stati Uniti d’America hanno avuto un ruolo fondamentale nella genesi del film perché, insieme a Bitonto, fu la famosa Times Square ad ispirarlo: «Una sera d’estate, a Bitonto, ero rimasto colpito dagli amici tunisini dei miei cugini. Stavano con loro perfettamente integrati, parlavano il dialetto, erano parte del paese. Poi ho visto la processione di sant’Isidoro, un santo senza grandi cortei e i miei cugini erano tra i portatori. Mi sono chiesto cosa sarebbe successo se uno di loro avesse avuto un incidente e avesse chiesto aiuto agli amici tunisini. Un musulmano che portava a spalla una statua cristiana era davvero un soggetto interessante».
Time Square contribuì a far sorgere nella mente del regista l’idea alla base della storia raccontata: «Ero in vacanza nel 2011 con mio figlio ma con il pensiero all’Italia e al mio lavoro al rientro. Mentre ero a Time Square circondato da gente di tutto il mondo, ho avuto l’intuizione di domandare ai tanti turisti, e non solo a loro, cosa avrebbero pensato se in un film la figura di Gesù fosse stata interpretata da un musulmano. Ho ricevuto risposte favorevoli, contrarie, critiche, indisponenti e ho capito che il mio film sarebbe stato attuale, toccava dei nervi scoperti. E lì ho deciso che avrei girato Ameluk».
«È un film onesto e sincero, proprio come è stato riconosciuto al festival di Termoli quando ho ricevuto un premio come autore “onesto e sincero” – spiega alla Maltese che lo definisce profetico, visionario e anticipatore – Mi brillano ancora gli occhi al pensiero. Il razzismo, la discriminazione sono temi scottanti e avrei potuto calcare la mano, includendovi anche l’aspetto religioso e invece ho scelto di far vedere la sceneggiatura al rabbino della sinagoga di Roma, Riccardo Di Segni, all’allora presidente delle comunità islamiche italiane, a don Gallo, il sacerdote di Genova che ha sempre portato novità alla vita della chiesa cattolica. Anzi volevo che lui stesso interpretasse il prete ma si sentiva anziano. Mi serviva il confronto con le tre religioni monoteiste perché non cercavo lo scandalo o la provocazione ma voglio far riflettere con un sorriso».
L’intervistatrice, ovviamente, non può non affrontare l’argomento del terrorismo, purtroppo oggi molto d’attualità. «La scena del film in cui io parlo di terrorismo è stata girata nel 2013 quando alla parola non era legata la stessa valenza e il peso che gli diamo oggi. Allora la pronunciavamo quasi ignari e invece abbiamo colto un po’ di futuro. La mia tecnica di recitazione e regia consiste nell’inserire dolce e amaro e unire un argomento faticoso, pieno di trappole e rischioso a qualcosa di leggero in grado però di mantenere la profondità. Io cerco di replicare quello che accade nella vita dove un occhio ride e uno piange» è la risposta del bitontino che, alla domanda sull’ispirazione per il sindaco razzista, rivela: «Io non mi sono ispirato a Silvio Berlusconi, allora presidente del consiglio, perché l’ironia facile non mi è mai piaciuta, soprattutto quando sfocia in sarcasmo e offende le persone. I personaggi sovraesposti come Berlusconi o Trump rischiano di diventare banali. Io ho invece cercato di indagare il DNA dell’italiano medio che vive di regionalismi, di furberie e che per i propri interessi non esita a speculare persino sulla religione. Questo però è un problema che valica le frontiere, che cambia pelle e colore e interessa chiunque ha come fede il dollaro o l’euro, non riguarda solo i politici ma anche gli industriali che ad esempio inquinano e creano problemi per le future generazioni non rispondendo di nulla e magari presentandosi come persone perbene. Il sindaco è il ritratto di chi si fa gli affari suoi sulle spalle della povera gente. Temevo che il mio film diventasse datato con il tempo e invece è una straordinaria sorpresa notare quanto sia attuale».
Nell’intervista Mancini esprime grande soddisfazione per la disponibilità di tutti quelli che sono stati coinvolti nella realizzazione: «Il mio è un film low budget, indipendente da tutto per obbligo e non solo per scelta e più che un film è un progetto e un manifesto di incontro delle culture. Per usare le parole di un vescovo di Bitonto, don Tonino Bello, è una convivialità di differenze. Quando ho raccontato soggetto e storia ho avuto un’adesione totale delle persone e degli attori che hanno preso paghe bassissime che non avrebbero accettato in altra situazione, ma hanno creduto con me al racconto».
«Questa problematica è raccontata nel micro contesto di un Paese del Sud Italia ma riguarda tutti e riguarda soprattutto le frontiere e le distinzioni che anche in questo contesto sono presenti e portano emarginazione fisica, intellettuale, razziale, sessuale. Vorrei che il film servisse ad avere uno sguardo sincero sull’oggi di questa grande nazione» è il messaggio che, alla fine dell’intervista, Mimmo Mancini lascia ai cittadini statunitensi.