Il 30 giugno 1963 rappresenta una data chiave per la storia più recente della Mafia, e per i suoi studiosi.
Perché è un crocevia di tante cose. È il primo, primissimo, attacco serio al cuore dello Stato, ben prima dei cadaveri eccellenti che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia dagli anni ’70 agli anni ’90.
Rappresenta l’episodio più significativo e drammatico della Prima guerra di mafia, in corso già da almeno un anno, e combattuta tra gli allora boss più potenti del capoluogo siciliano (Michele Cavataio, Salvatore La Barbera, Tommaso Buscetta, Salvatore Greco), che avevano iniziato a scannarsi tra loro per accaparrarsi eroina e appalti edilizi. E tutto in pieno, pienissimo, sacco di Palermo, ovvero la distruzione del suo Piano regolatore con tanto di selvaggia speculazione edilizia compiuta per volontà di Salvo Lima e Vito Calogero Ciancimino, esponenti di ferro della Democrazia cristiana siciliana.
È anche la prima risposta seria da parte delle istituzioni, romane in primis, fino ad allora sorde e mute dinanzi al fenomeno mafioso o alla semplice parola “Mafia”.
30 giugno 1963, allora. Quel giorno, nello Stivale, si parla di tante cose. Paolo VI è proclamato Papa, prendendo il posto di Giovanni XXIII, e il presidente americano John Fitzgerald Kennedy è in visita ufficiale.
Nessuno immagina che qualche di chilometro più a sud, e precisamente a Ciaculli, località del Comune di Palermo, si stava per consumare una strage.
Comunemente passata alla storia come la “Strage di Ciaculli”.
Una telefonata alla questura segnala la presenza di un’autovettura sospetta. Un’Alfa Romeo Giulietta abbandonata e con le porte aperte, e parcheggiata a due passi dell’abitazione di un parente del boss Salvatore Greco.
Sul posto si recano polizia e carabinieri. Tutto sembra tranquillo ma, quando il carabiniere Mario Malausa apre il bagagliaio dell’utilitaria, accade il finimondo.
Immediatamente scoppia una enorme quantità di tritolo che non lascia scampo allo stesso tenente Malausa, al maresciallo capo Calogero Vaccaro, a Eugenio Altomare, al maresciallo della polizia Silvio Corrao, a quello dell’esercito Pasquale Nuccio e al soldato Giorgio Ciacci.
I giornali dell’epoca subito scrivono che si tratta della strage più grave dai tempi di Portella della Ginestra.
La risposta delle istituzioni, questa volta, non si fa attendere. Dopo una settimana, a Roma, nasce la prima Commissione parlamentare antimafia, e le forze dell’ordine arrestano quasi 2mila persone appartenenti a Cosa Nostra.
Tra questi anche un giovanissimo Salvatore Riina, all’epoca vicino al boss La Barbera.
Il problema, però, è che i processi susseguenti – Catanzaro e Bari – si sono conclusi con una enorme quantità di assoluzioni e qualche condanna lieve.
Tanto che, dopo 55 anni, la strage di Ciaculli non ha ancora colpevoli e condannati, anche se a metà anni ’80 Tommaso Buscetta rivela che dietro c’è solo la mano di Michele Cavataio.
La conferma? C’è. Ed è un’altra strage. Quella di viale Lazio del dicembre 1969 compiuta dai corleonesi e finalizzata proprio a punire il boss palermitano.