Il giorno della sua tragica morte – un suicidio gettandosi, probabilmente per motivi di depressione – dal balcone della propria residenza, a Grottaferrata, nel 1997 – il quotidiano “La Repubblica” intitola “Una tragedia lunga quarant’anni”.
Già, perché Arnaldo Graziosi è stato protagonista, suo malgrado, di un fatto di cronaca durato oltre quattro decenni. Iniziato da una morte, quella della moglie e conclusasi, passando per il carcere, la grazia ricevuta, le composizioni musicali, con la sua fine.
A pochi mesi dalla fine della Seconda guerra mondiale, con l’Italia ancora in macerie e presa da problemi di tutt’altra natura, lo Stivale si trova sconvolto dal primo caso di cronaca giudiziaria del dopoguerra. Ed è pure grave: uxoricidio. Che ha spaccato in due il Paese.
Tutto inizia il 21 ottobre 1945. Una domenica terribile per Graziosi, allora 32enne e in grande ascesa, per la moglie Maria Cappa, 24 anni, per la figlioletta Andreina, 3 anni appena. Alle sei di mattina, nella pensione “Villa Igea”, di Fiuggi, un colpo di pistola sveglia gli ospiti. Il proprietario della struttura sente e vede spalancarsi una finestra. Chi c’è? Graziosi, non in pigiama ma vestito, con in braccio la figlioletta e gridando che la moglie si è ammazzata.
Il suicidio, però, ben presto diventa un omicidio. E proprio per le responsabilità di Graziosi, il cui racconto e comportamento sembra subito strano agli inquirenti, oltre che per tanti altri elementi che lo mettono in difficoltà.
Si presenta elegante, freddo, distaccato, con una padronanza di nervi che contrasta con il dolore che qualsiasi marito proverebbe di fronte al suicidio della giovane moglie. Telefona a una giovane allieva (Anna Maria Quadrini, appena 18enne, la sua amante, come scriverà anche lei nel suo diario) invece che ai parenti, a pranzo mangia di buon appetito, non spiega perchè alle 6 del mattino è già vestito, e poi si allontana per qualche minuto durante l’ispezione e i sopralluoghi delle forze dell’ordine. E si capisce che qualcosa non va nonostante un biglietto senza firma trovato sul cuscino della vittima. “Quando leggerete queste righe il mio martirio sarà finito. Troppo a caro prezzo sto pagando la sola leggerezza della mia vita. Per mia figlia, per quelli che mi amano io debbo andarmene. Ora sono stanca mortalmente: basta con tutto. Desidero che tutti quelli che mi conoscono non sappiano di questo e abbiano sempre un buon ricordo di Maria”.
E perché, quindi, Maria Cappa si sarebbe dovuta uccidere? L’ipotesi più sensata, secondo i più strenui innocentisti, è perché da ragazza aveva frequentato un altro uomo, aveva preso la sifilide, aveva contagiato marito e figlioletta, e non sapeva darsi pace di tutto questo.
Il musicista, comunque, è arrestato con accusa di omicidio passionale e il processo spacca in due l’opinione pubblica nostrana. E che si gioca tutto su una schermaglia in punta di fioretto tra il difensore di Graziosi da una parte, pubblico ministero e avvocato di parte civile (per la famiglia Cappa) dall’altra. Un duello a base di perizie grafiche e balistiche, di testimonianze discordanti, di ricerche minuziose nelle pieghe di un matrimonio dai risvolti nascosti e inconfessabili. E in cui il dettaglio per incastrare Graziosi lo fornisce proprio la suocera: il maestro faceva parte di una setta segreta nata all’interno della Rai, una sorta di P2 ante litteram, e aveva dettato alla moglie lettere in codice per poter uscire dall’organizzazione senza danni.
La sentenza arriva nel 1947. La Corte di Frosinone lo condanna a 24 anni e nove mesi di carcere per omicidio premeditato, nonostante l’imputato si sia sempre proclamato innocente. Pena confermata l’anno dopo anche dalla Cassazione.
Nel 1959, dopo 12 anni di carcere, ottiene la grazia dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, al quale si era rivolto la figlia Andreina.
Tornato in libertà, tenta di rifarsi una vita nuova, lavorando come compositore e sposando una cantante lirica spagnola.
Il 6 marzo 1997 l’atto finale della tragedia.
Vestito in tiro, proprio come quel 21 ottobre di 52 anni prima, Arnaldo Graziosi, ormai ottantaquattrenne, si lancia dal balcone della sua casa di Grottaferrata, portandosi dietro quella verità che solo lui conosceva.
“Il caso Graziosi” è anche il titolo di un film del 1996 prodotto dalla Rai.