Il 31 ottobre 1926 poteva essere un pomeriggio che davvero poteva cambiare l’Italia.
Eravamo agli esordi della dittatura fascista. E Benito Mussolini non aveva ancora varato quelle pesantissime e famigerate leggi fascistissime.
Ebbene, quel dì accade un episodio che non tutti ricordano.
Bologna, primo pomeriggio. Il presidente del Consiglio è in visita nel capoluogo emiliano e lo sta attraversando con la sua auto tra due ali di folla.
All’improvviso, un ragazzino di 15 anni (sì, avete letto bene, 15 anni), Anteo Zamboni, gli spara senza pensarci due volte e per un soffio non riesce a ucciderlo.
Un attentato in piena regola, dunque. All’uomo più potente d’Italia. Che si era fatto consegnare il potere da Vittorio Emanuele III appena quattro anni prima con la marcia su Roma. Che aveva fatto uccidere il leader socialista Giacomo Matteotti.
Che quell’anno, il 1926, aveva già subito altri tre attentati, sempre falliti.
In pochi istanti, il ragazzino viene bloccato, linciato dalla folla e ucciso a colpi di pugnale, probabilmente dagli stessi fascisti che scortavano il duce. Il suo cadavere è lasciato ai bordi di piazza del Nettuno, irriconoscibile.
Sorprendenti sono, invece, le parole di papa Pio XI: “criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista… e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento”.
Mussolini, scampato alla morte, utilizza questo attentato per inasprire ancora di più il suo regime: scioglimento dei partiti e la chiusura dei giornali di opposizione, l’arresto di migliaia di oppositori politici, tra cui parlamentari come Antonio Gramsci, l’istituzione del Tribunale speciale e la reintroduzione della pena di morte.
E, soprattutto, così commenta quell’episodio: “Degli attentati da me subiti, quello di Bologna non fu mai completamente chiarito. Certo che me la cavai per miracolo. L’esecutore, o presunto tale, fu invece linciato dalla folla. Con questo atto barbarico, che deprecai, l’Italia non dette certo prova di civiltà”.
Ecco quindi che anche a 91 anni di distanza è lecito farsi ancora delle domande. Chi era davvero Anteo Zamboni? E perché voleva uccidere Mussolini? Ha fatto davvero tutto da solo o ha agito per conto di qualcuno?
Il giovane Anteo lavorava come tipografo nell’azienda del padre, Mammolo, un ex anarchico che però si era convertito al fascismo. La sua famiglia viene arrestata in blocco con l’accusa di avere istigato il ragazzino, ma alla fine sono condannati solo Mammolo e la zia Virginia, ma dopo pochi anni saranno graziati proprio per volontà del Duce. Anche perché mai nessuno infatti ha mai creduto davvero alla loro responsabilità nella vicenda.
Che, per i più, ha due chiavi di lettura. Da un lato il giovane 15enne sarebbe stato soltanto l’esecutore effettivo del fatto, dietro istigazione di mandanti che avrebbero anche ordinato il suo linciaggio. Dall’altro, invece, c’è chi è pronto a giurare che il gesto di Zamboni sarebbe soltanto la punta dell’iceberg di un profondo complotto di potere presente tra l’ala di Farinacci e quella di altri gerarchi, più moderati.
Brunella Dalla Casa, invece, nel suo saggio “Attentato al Duce”, ha invece una terza ipotesi: un’azione isolata proprio da parte dell’”anarchico bambino”, così come è stato epitetato dopo.
A lui, inoltre, sono stati dedicati libri, vie e spettacoli teatrali, ma di lui ci restano solo tre foto: una all’età di sette anni e due post mortem.
Mistero…