Quelle immagini, che in pochi hanno avuto la (s)fortuna di vedere in diretta, hanno comunque fatto il giro del mondo perché oggi, con la potenza incredibile di Youtube, degli youtubers e quant’altro, è impossibile non esserne a conoscenza. Soprattutto quando si ha a che fare con una delle stragi spaziali più incredibili del secolo scorso e uno dei momenti più neri della storia della Nasa.
Con loro anche quella voce: “Flight controllers here are looking very carefully at the situation. Obviously a major malfunction” (“I controllori di volo qui stanno monitorando molto attentamente la situazione. Ovviamente c’è un grave malfunzionamento”).
Molto più difficile, invece, ricordare i nomi, sette, dei protagonisti di quei terribili momenti. Pochissimi secondi – in realtà minuti – in cui non hai neanche il tempo di capire che il passaggio dalla vita alla morte è arrivato: Dick Scobee, Michael John Smith, Ronald McNair, Ellison Onizuka, Gregory Jarvis, Judith Resnik, Christa McAuliffe, la prima insegnante addestrata per un volo spaziale, che avrebbe dovuto trasmettere di lì a poco la prima lezione di scienze dallo spazio.
Già, perché la missione spaziale aveva quello come obiettivo. Ecco, aveva, purtroppo. Non c’è stato mai niente di tutto questo.
Con la memoria corriamo velocemente a quasi 34 anni fa, al 28 gennaio 1986, un anno segnato, quattro mesi più tardi, dall’esplosione nella centrale nucleare di Chernobyl, nell’allora Unione Sovietica, oggi Ucraina.
L’orologio indica le 11.38. Lo Space Shuttle Challenger decolla per la decima missione dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral, Florida.
Nessuno pensa che un battito di ciglia dopo il lancio, accadrà qualcosa di incredibile. Dopo 1 minuto e 13 secondi. Settantatre maledetti secondi.
Tanto, infatti, ci ha messo il mezzo spaziale per disintegrarsi, ma 2 minuti e 45 secondi per schiantarsi nell’oceano dopo aver seguito la traiettoria orbitale. Ed è assai probabile che sia stata proprio questa fatalità a togliere la vita ai sette membri dell’equipaggio.
Cosa è andato storto? A spiegarlo è stato una famosa commissione presidenziale di inchiesta voluta dall’allora numero 1 della Casa Bianca, Ronald Reagan, tra l’altro uno dei fautori di quella missione “educativa”. Era composta da menti a dir poco brillanti e specializzati in quel settore: il segretario di Stato William P. Rogers; Neil Armstrong, primo uomo sulla Luna; il fisico Richard Feyman e la prima astronauta donna americana Sally Ride.
La tragedia è stata talmente grande che il presidente americano è apparso in televisione non per il discorso sullo stato dell’Unione, ma per rendere omaggio a quelle sfortunatissime persone. Con queste parole: “Non li dimenticheremo mai, né l’ultima volta che li vedemmo, questa mattina, mentre si preparavano per il loro viaggio, salutavano e “fuggivano dalla scontrosa superficie della Terra” per “sfiorare il volto di Dio.
A volte, quando cerchiamo di raggiungere le stelle, falliamo. Ma dobbiamo sollevarci nuovamente e andare avanti nonostante il dolore”.
È emerso, allora, che non si è trattato di una esplosione, ma di un incendio avvenuto a troppi metri di distanza dalla Terra. Tutta colpa delle temperature anomale per il clima mite della Florida (la mattina del lancio, il termometro era sceso sotto lo zero), che avevano esasperato alcuni errori di progettazione degli O-ring, guarnizioni di gomma circolari progettate per sigillare e assemblare i quattro segmenti dei razzi a propellente solido usati per il lancio. Queste temperature, allora, hanno provocato un guasto alla guarnizione del segmento inferiore del razzo a propellente solido destro.
La Nasa, dopo quel disastro, ha annullato per due anni i voli degli Shuttle. Quando ha ripreso, tra mille polemiche, lo ha fatto con la missione “Ritorno al volo”.