L’ultimo tassello di questa misteriosa vicenda lo ha dato “Repubblica” poco più di due settimane fa. E arriva direttamente dalla Santa Sede, da dove emerge che dal Vaticano avevano messo la parola “fine” già nel 1940. Con tanto di lettera da parte di Pio XII direttamente alla famiglia condita da benedizione e l’invito ad accettare la realtà. Già, ma quale realtà? E con quali convinzioni, poi?
Basta questo elemento, nuovo ma non sorprendente se si conosce l’intera storia, per dare l’idea che le righe di questa terza domenica raccontano di una pagina della nostra storia che ancora grida rabbia, si porta dietro un numero impressionante di domande, dubbi, ipotesi, punti interrogativi e la solita, unica, certezza di besozziana memoria. E la raccontiamo prendendo spunto dalla “Domenica del Corriere” del 17 luglio 1938, che in una sua rubrica – il titolo, curioso, era “Chi l’ha visto” – scriveva ciò: “Ettore Majorana, ordinario di Fisica all’Università di Napoli, è misteriosamente scomparso. Di anni 31, metri 1,70, snello, capelli neri, occhi scuri, una lunga cicatrice sul dorso di una mano. Chi ne sapesse qualcosa è pregato di scrivere”.
L’annuncio era necessario perché era scomparso dal 26 marzo dello stesso anno, quando da un hotel di Palermo aveva annunciato a un suo collega l’intenzione di imbarcarsi sul primo traghetto per Napoli. Poi più nulla. Soltanto tanti forse e una quantità ben assortita di piste. Anche quella, considerata la meno irreale e spuntata qualche anno fa, che asseriva come fosse fuggito dall’altra parte del mondo. In Venezuela. Ma prima ancora: suicida gettandosi in mare? Assassinato? Scese dalla nave (o non vi mise affatto piede) e si ritirò in un convento? Rimasto in Sicilia, sua terra d’origine?; Rifugiato in Germania, per condurre studi top secret sull’energia nucleare al soldo dei nazisti? Emule di quel personaggio della letteratura che amava tanto, Mattia Pascal o Adriano Meis che dir si voglia?
Ma perché Ettore Majorana era importante? Lo dice egli stesso: “Sono nato a Catania il 5 agosto 1906, e nel 1929 mi sono laureato in Fisica teorica sotto la direzione di Enrico Fermi. Ho frequentato l’Istituto di Fisica attendendo a ricerche di varia indole”. Figlio di un ingegnere e nipote d’arte, fin da bambino Ettore brillava per le doti di matematico, che nella Capitale ha messo al servizio di un gruppo di giovani fisici coordinati dal docente Enrico Fermi e passati alla storia come “i ragazzi di via Panisperna”.
L’abilità nel calcolo era ammirata da tutti, ma ogni volta che i suoi studi sfioravano l’impresa scientifica, si rifiutava di pubblicarli e in alcuni casi arrivava persino a stracciare gli appunti di lavoro.
Nel 1933, poi, si è recato in Germania per un viaggio di studi, che però ha anche il “merito” di peggiorare un altro aspetto che lo contraddistingueva, l’esaurimento nervoso, e quattro anni dopo Napoli gli ha assegnato la cattedra universitaria. E anche nella città partenopea è sempre rinchiuso in casa e conduce una vita appartata.
Quell’incarico dura pochi mesi, perché nel marzo 1938, fa perdere le tracce, facendo iniziare una seconda vita. Quella del mistero più fitto e nebuloso, talmente denso impossibile da scardinare dopo 82 anni.
Le prime ricerche sono patrocinate direttamente da Benito Mussolini, ma sono fin dal principio difficilissime perché gli elementi con cui e su cui cercare il genio catanese sono scarsissime.
E, come un movimento inversamente proporzionale, fioriscono le ipotesi intorno alla sua sorte per tanti, tantissimi anni. Nel 2008, poi, il programma di Rai3 “Chi l’ha visto?” (che strana cosa è la sorte, ndr) ha raccolto l’intervista di un nostro connazionale in Sudamerica, che si diceva sicuro di aver incontrato un tale somigliante e non poco a Majorana. La procura capitolina ha riaperto l’inchiesta, scoprendo solo che non si era ucciso, ma che fino al 1959 ha vissuto in Venezuela.