I loro nomi, a Pieve di Cento, in provincia di Bologna, sono impossibili da scalfire perché, purtroppo, segnati con il sangue. Quello della Seconda guerra mondiale. Quello della cosiddetta guerra civile italiana, una mattanza di cui spesso vogliamo dimenticare, seppur non possiamo.
Segnamoli subito, allora. Ida, Primo, Augusto, Giuseppe, Emo, Marino e Dino. Erano i sette fratelli Govoni. Italianissimi, sia chiaro.
Ma con la grave colpa di essere, nel maggio 1945, a secondo conflitto mondiale ormai chiuso in Italia ma anche in Europa, fascisti, seppur nella realtà solo due di loro avevano risposto alla chiamata obbligatoria della Repubblica sociale italiana.
Sono morti l’11 maggio 1945. Dire morti, però, è riduttivo. Perché sono stati assassinati – assieme ad altri – dopo una notte di torture da parte dei partigiani comunisti delle brigate Garibaldi. Basti pensare che Ida, appena 20enne, la sorella più giovane, è stata sequestrata mentre allattava sua figlia e poi assassinata in maniera brutale.
Basti pensare, ancora, che dei sette fratelli solo uno è risultato essere morto per un colpo di arma da fuoco, mentre gli altri furono massacrati a botte, bastonate, calci e infine strangolati col filo del telefono.
È il famoso eccidio di Argelato, una delle pagine più brutte della storia contemporanea del Belpaese. Che, purtroppo, non si insegna a scuola, non c’è un museo, e nessuna scolaresca viene intruppata per vedere dove vissero e dove morirono. Su migliaia di libri sulla guerra civile, neanche dieci parlano di questo episodio.
Ma chi erano questi fratelli Govoni? Tutti contadini da generazioni, in tutto otto, ma Maria, si era trasferita dopo il matrimonio e i partigiani non sono mai riusciti a rintracciarla. E come se non bastasse, dopo il massacro, gli assassini hanno buttato i corpi in un fossato anticarro rifiutandosi di dire ai genitori dove fossero le spoglie.
È accaduto, allora, che la notte tra il 10 e l’11 maggio 1945 la brigata Garibaldi ha rintracciato tutti i sette fratelli portandoli in un casolare. Non contenti, però, andarono a san Giorgio di Piano e hanno sequestrato altre dieci persone. Alberto Bonora, Cesarino Bonora, Ivo Bonora, Guido Pancaldi, Ugo Bonora, Alberto Bonvicini, Giovanni Caliceti, Guido Mattioli, Vinicio Testoni, Giacomo Malaguti, un soldato che aveva combattuto contro i Tedeschi a Montecassino.
Per ore sono stati seviziati, picchiati, bastonati, presi a calci. Quelli che non sono morti per le torture sono stati strangolati.
Tutti nel paese sapevano, perpetrato da decine di persone, ma nessuno parlava, perché si temevano altre vendette e omicidi, magari ancora più efferati e senza scrupoli.
Qualcuno ha iniziato a cantare soltanto nel 1949, a quattro anni di distanza. Troppo tardi, però, perché i responsabili erano stati sì denunciati, qualcuno anche condannato, ma tutti erano al sicuro in Cecoslovacchia grazie all’aiuto logistico del Partito comunista italiano.
Due anni dopo, nel 1951, sono state individuate due fosse comuni con le vittime dei partigiani: nella prima c’erano 25 corpi, nella seconda altri 17, tra cui quelli dei fratelli Govoni.
E, dopo ancora, è intervenuta l’amnistia Togliatti.
Ma che non cancella nulla di quell’eccidio, tanto più che l’8 maggio era accaduta, sempre nella zona, un’altra terribile mattanza.