“Andare in guerra non piace a nessuno. È stato un dovere che ho pagato a caro prezzo. Ma il dovere è considerato tale quando è seguito da un diritto, altrimenti è sfruttamento al pari delle bestie”.
Commentava così, il bitontino Giuseppe Sorgente, nel suo libro “Un fante in Russia”, presentato quattro anni fa anche a Bitonto. Un libro in cui il reduce oggi ultranovantenne ricordava una delle pagine più tristi della storia dell’intervento militare italiano nella Seconda Guerra Mondiale: la spedizione militare in Russia e la vicenda dell’Armir (acronimo di Armata Italiana in Russia), come fu chiamato l’8^ armata italiana che, tra luglio 1942 e marzo 1943, operò sul fronte orientale, in appoggio alle forze tedesche della Wehrmacht impegnate sul fronte di Stalingrado.
Una vicenda raccontata ieri da Rai Storia, nel programma “Passato e Presente”, condotto da Paolo Mieli. Tra i testimoni di quegli eventi proprio è stato intervistato anche il reduce bitontino, per far rivivere, attraverso la sua testimonianza, quella che si rivelò una grande tragedia, oltre che l’inizio della disfatta delle forze dell’Asse durante la guerra. Tra i soldati, chi non perì nei combattimenti, fu sopraffatto dal Generale Inverno, come i russi sono soliti chiamare il loro periodo invernale, caratterizzato da temperature molto basse e che, in più occasioni, ha aiutato a sconfiggere eserciti invasori non abituati a quel gelo, come fu appunto per italiani e tedeschi. Migliaia furono i soldati caduti, uccisi dal nemico o congelati. Tanti perirono durante la ritirata o durante la prigionia, dopo essere stati catturati dai russi.
Era un ragazzo di venti anni Giuseppe Sorgente, quando fu inviato, con la divisione di Fanteria “Vicenza”, nel paese sovietico, dove rimarrà fino alla primavera del ’43 e parteciperà a tutte le azioni più drammatiche di questa campagna, da Stalingrado a Nikolajewka. Una campagna che si rivelerà disastrosa per l’esercito italiano, sconfitto e costretto alla ritirata dall’esercito sovietico.
«Partimmo da Bergamo una mattina nei primi di luglio 1942. Ci buttarono nei vagoni per 12 giorni di viaggio, attraversando 5mila chilometri» ha ricordato nel documentario Sorgente che nel suo libro racconta, in tutta la sua drammaticità, tutta la sua storia, la drammaticità dei combattimenti e il difficilissimo ritorno dalla Russia alla natìa Bitonto, cercando di fuggire ai tantissimi pericoli lungo il cammino. Ripercorre un’esperienza vissuta in bunker “meno ospitali di ovili”, infestati da pidocchi e topi che mangiavano quel poco pane che era a disposizione, con poca acqua da bere e per lavarsi e poca legna da ardere per difendersi dalle temperature gelide. Senza dimenticare la durezza della battaglia, in cui solamente chi era dotato di grande forza d’animo e lucidità aveva qualche possibilità di sopravvivere.