Il “Canto di Natale” di Charles Dickens ha trovato, due sere fa, il modo d’incastonarsi nel ricco programma natalizio mariottano.
La compagnia Mariott’Arte ha messo in scena, in due orari diversi, “A Christmas Carol”, la fascinosa storia natalizia che si legge (e si ascolta) come una fiaba, e che ieri sera il palcoscenico ha restituito agli spettatori con la medesima, seducente profondità del racconto dickensiano.
Il progetto di una rappresentazione del Canto di Natale è scaturito da un’idea della giornalista Annarita Cariello (che ha curato la regia dello spettacolo), convinta che la leggibilità della storia e i suoi diversi, e fruibili, registri di lettura, ben s’attagliassero alla scena teatrale e ad un buon recepimento da parte del pubblico.
Seguendo l’ossatura e lo snocciolarsi regolare degli eventi, l’ufficio di Ebenezer Scrooge & Jacob Marley si è presto ammantato di una misteriosa vitalità, sospeso continuamente, com’era, tra la grottesca avidità del protagonista e i sentimenti che di volta in volta varcavano timidamente la sua soglia. E’ come se la solitudine, l’avarizia, l’insensibilità cercassero il contraltare perfetto, il bilanciamento romantico con cui riuscire a quantificare il peso relativo dei sentimenti negativi.
Paolo Dellorusso, nei panni di Scrooge, ha interpretato magistralmente il personaggio in ogni sua sfumatura, modulando perfettamente gestualità e caratterialità, e rendendo fedelmente, da attore navigato, il senso della cruciale osmosi passato-futuro, indotta in Scrooge dalla “visita” notturna del suo ex-collega Marley (un efficace Valentino Desario), ormai trapassato e in catene, e dei tre fantasmi del tempo (Isa Summo e Gaetano Giampalmo), che lo scuotono dal profondo letargo di grettezza e meschinità in cui è sprofondato.
L’altro protagonista è stato Giuseppe Grasso, interprete di Bob Cratchit, il povero impiegato vessato dal suo capo Scrooge.
La vis comica e l’impronta artistica rinvenibile in ogni sua battuta è tale da non ingenerare equivoco alcuno sulla sua prova, una drammatizzazione ai soliti, eccelsi livelli di personalità e afflato narrativo. Di un certo riguardo sono state anche le interpretazioni offerte dagli attori più piccoli, Serena Coviello, Stefano Chiapperini e Flavio Coviello, componenti la famiglia Cratchit, teatralmente ossequiosi e diligenti in quel loro tenero stringersi attorno al focolare domestico dei buoni sentimenti.
Il messaggio del ‘Canto’, individualistico e solidaristico insieme, pedagogico e psicanalitico (il letto di Scrooge è un divano freudiano ante-litteram), è riuscito a passare.
Il palcoscenico e la platea si sono reciprocamente intesi con un fragoroso applauso a suggello della serata; la nemesi dickensiana ha saputo sdoganarsi con la stessa, seducente eloquenza di un “Buon Natale!…”.