Il 12 e il 13 gennaio andrà in scena sul palco del Teatro Traetta “Non chiamateli briganti” di Mimmo Mancini e Paolo De Vita, che nei giorni scorsi è stato a Bitonto proprio per annunciare e presentare lo spettacolo.
Tema trattato sarà, ovviamente, il brigantaggio negli anni dell’unificazione italiana. Quello pugliese per l’esattezza. La storia è ambientata in un lasso di tempo che va dal 1859 al 1863, negli anni dell’unità d’Italia, in cui i due fratelli pugliesi, un contadino e pastore, diventati briganti per necessità ed ingiustizia, si trovano a vivere un repentino e doloroso cambiamento della loro vita. Lo stesso repentino cambiamento affrontato dall’Italia. In una serie di eventi comico-drammatici, diventano involontariamente “garibaldini”, si trovano a vivere le mutazioni di quell’ Italia che da borbonica si ritrova, senza capire bene come e perché, sabauda, in una trasformazione gravida di costi la cui eredità si trascina sino ai giorni nostri, con il nome di “questione meridionale”.
“Non chiamateli briganti” racconterà, dunque, anche con ironia e senza sconti per nessuno, quel fenomeno di “trasformismo” politico, ideologico e sociale che da sempre nella storia, contraddistingue il popolo italiano.
«Come è possibile che, nel Museo del Risorgimento, a Roma, non ci sia nulla sul brigantaggio al Sud, sui Borbone, e sul Sud in generale» si è chiesto l’attore Mimmo Mancini, spiegando le ragioni che hanno portato lui e l’attore Paolo De Vita, coprotagonista dello spettacolo, a cimentarsi in questo lavoro, che si avvale della consulenza storica di Valentino Romano, uno dei massimi studiosi dell’argomento in Italia, e di Marino Pagano, giornalista.
«Bisogna parlare dell’argomento non per fare stupide contrapposizione tra Nord e Sud, ma per comprendere le ragioni storiche del perché esiste ancora una questione meridionale, un’Italia a due velocità. Non si può parlare del tema, nei libri di scuola, come se stessero ancora i Savoia» ha sottolineato il regista bitontino, che martedì ha incontrato i ragazzi del Benjamin Franklyn Institute per parlare dell’argomento.
Anche perché diverse sono state le correnti di pensiero che hanno riletto il Risorgimento e l’Unità d’Italia anche talvolta in chiave critica, allontanandosi dalla storiografia ufficiale risorgimentalista e nazionale. Dai cattolici ai marxisti come Gramsci, dai liberali ai socialisti azionisti, come ha ricordato, durante la serata di presentazione dello spettacolo teatrale, Pagano, ricordando la figura di Guido Dorso, che definì l’Unità “conquista regia”. Riprendendo alcune di queste visioni, ormai acclarate anche alla storiografia, Nicola Pice, presidente della fondazione De Palo – Ungaro, ha spiegato quindi che il brigantaggio post-unitario fu un fenomeno complesso, che trasse in gran parte le sue ragioni dall’aspettativa che molti contadini ebbero nella redistribuzione delle terre con l’avvento del nuovo stato unitario. Promessa destinata a non essere mantenuta, dal momento che, in una trasformazione gattopardesca, i vecchi latifondisti, la classe politica e persino le forze dell’ordine, cambiandosi semplicemente d’abito e aderendo al nuovo stato sabaudo, rimasero al loro posto. Tutto cambiò, nonostante nulla in realtà cambiò.