Partiamo dalla fine. In tutti i sensi, purtroppo. Perché, per capire meglio il protagonista di questa storia, ci affidiamo direttamente alle parole di chi lo ha conosciuto, lì sul campo di battaglia, sul fronte. Domenico Cannavale, amico di Università e pure di Reggimento, lo descrive come “buono con tutti, e amava oltre ogni dire i suoi cari soldati”. Il tenente Vincenzo Poluzzi, invece, ricorda il “carattere franco, leale, da gentiluomo”.
Eccolo, allora, Francesco Birardi. Una delle tante, tantissime vite strappate giovanissime durante il Primo conflitto mondiale. Un giovanotto che, come quelli della sua età, covava e coltivava sogni, speranze a aspettative spazzate via per colpa di una inutile strage. Un liceale bitontino alla Grande guerra, insomma.
Come il titolo del libro curato da Nicola Pice e Vincenzo Robles ed edito da “Raffaello Edizioni”, presentato ieri pomeriggio alla Galleria nazionale “De Vanna”, che altri non è che un prezioso volume da conservare gelosamente nei nostri cassetti e nei nostri cuori.
Una sorta “di atto di giustizia verso un ragazzo che continua ancora a parlarci”, come ha sottolineato Mario Sicolo, direttore del “daBITONTO” e moderatore della serata.
Già, perché i due autori hanno fatto proprio questo. Hanno preso tutto il vastissimo materiale in possesso della famiglia di Francesco (il primo grazie, allora, va a Teresa Pazienza Pignataro, figlia della sorella di Francesco, che ha messo a disposizione l’ampia documentazione) e lo hanno ordinato in modo logico, cronologico e filologico. Ci sono le lettere, strazianti (alcune delle quali lette dal bravissimo Raffaele Romita), scritte in un italiano quasi da fare invidia, che Ciccillo – così si faceva chiamare dai suoi amici e firmava le missive – mandava alla famiglia, al cugino Nicolino, dal 1915 al maggio 1917, e in cui emerge un profondo attaccamento alla vita. Ci sono, inoltre, anche le pagine di diario, che ci aiutano meglio a comprendere come fosse la vita di trincea e la sua volontà di restare vivo e cosciente. Per non parlare, poi, delle fotografie, quasi essenziali e non affatto un mero e semplice contorno.
Un atto di giustizia, allora. Ed è proprio così, perché Pice e Robles hanno fatto in modo che il nome di Francesco Birardi non sia solo quello scolpito sulla lapide presente sul lato sinistro dell’ingresso del liceo “Carmine Sylos”, e posta il 24 maggio 1923 per ricordare i 17 alunni – 12 però non sono mai tornati a casa, tra cui Francesco – “che espressero il culto della patria, la gioia del sacrificio”. Ma che lo sia, insieme a tutti gli altri, fissato nella memoria delle odierne generazioni, “che hanno molto da imparare dai figli come Francesco, a cui dovrebbero lustrare le scarpe” secondo il docente universitario Pasquale Guaragnella, intervenuto nel corso della serata.
Chi è stato, allora, Francesco Birardi? Nasce a Palo del Colle il 3 dicembre 1895 da una famiglia non certamente benestante. Il padre è un pensionato di guerra dopo la spedizione in Abissinia, la mamma era imparentata con la famiglia Gentile. Piccolissimo, Francesco, insieme alle sorelle, si trasferisce a Bitonto dove frequenta il liceo classico “Carmine Sylos”. Dopo il diploma, si trasferisce a Venezia per studiare all’Università “Ca Foscari”. Nel giugno 1915, però, è chiamato alle armi ed è assegnato, dopo vari passaggi, al 1°Battaglione della 35esima Fanteria a Pradis, piccolo Comune sulle dolomiti friulane.
La sua guerra è durata esattamente due anni, perché nel maggio 1917, quando di primavere ne aveva soltanto 21 ma cinque mesi prima nominato tenente, muore per colpa di una pallottola austriaca mentre era in procinto di slanciarsi all’assalto della baionetta.
“Fu in seguito seppellito – si legge nella missiva che il tenente Poluzzi ha inviato alla famiglia dopo l’accaduto – nel cimitero che sta sotto le arcate del ponte-viadotto ferroviario che si trova tra Montefalcone e Osimo”.
Ma da ieri, è entrato di diritto nei nostri cuori.