Lo avevano fatto con l’appartamento del 20enne Giuseppe Casadibari non appena decise, dal letto dell’ospedale dov’era ricoverato dopo essere stato attinto da alcuni colpi di pistola, di collaborare con la giustizia (leggi qui: https://bit.ly/2qY2tBW).
E fu il 45enne Michele Rizzo ad intimidire i congiunti dei famigliari di Casadibari al fine di impedire la collaborazione del ragazzo. Il soggetto, verso cui è stata prevista la custodia cautelare al regime di detenzione domiciliare, era passato sotto il balcone di casa mimando il gesto di sparare con una pistola.
È successo anche con una autovettura appartenente ad un famigliare del 34enne Vito Antonio Tarullo che fu data alle fiamme il 12 febbraio nella zona 167 dopo che questi decise di pentirsi e rivelare alcune importanti informazioni fondamentali per le indagini e gli arresti del 17 marzo scorso.
L’hanno rifatto con il 38enne Rocco Papaleo. La sua casa, nel borgo antico, è stata messa a soqquadro dai malviventi dopo che il soggetto ha deciso di parlare (circa due settimane fa) in merito alla sparatoria del 30 dicembre scorso: era lui tra i due killer, assieme al 24enne Michele Sabba, che spararono in direzione del gruppo Cipriano, colpendo per errore l’84enne Anna Rosa Tarantino. Papaleo era sicuramente uno dei soggetti più esposti del gruppo Conte e la sua vita era a rischio perché parrebbe che fossero i suoi stessi sodali a volerlo eliminare fisicamente (leggi qui: https://bit.ly/2Hay6Pr).
La regola, insomma, in questo clima mafioso rimane sempre la stessa: gli atti intimidatori non vengono mai a mancare, atteggiamenti tipici delle organizzazioni criminali.
Sono animati da atteggiamenti impavidi e spregiudicati: quando si viene meno alle affiliazioni alla base del codice mafioso si viene a creare una rottura degli equilibri e queste ne sono le dimostrazioni lampanti.