“Il silenzio del mare”, il bel libro Asmae Dachan presentato venerdì alla Galleria Devanna, è il modo, forse migliore perché arriva dritto dritto all’anima, di raccontare un periodo buio, cupo e nerissimo che dura da sette anni.
È la storia di due fratelli che si uniscono al movimento pacifista nato segretamente nei Campus universitari, iniziando così una strenua battaglia per i diritti umani.
Siamo nel 2011, all’alba di tutto. Al principio di un dramma che in tanti non possono e non vogliono spiegare. E così, scoperti e minacciati dal regime, questi due ragazzi, Fadi e Ryma, fuggono cercando di arrivare in Italia imbarcandosi dalla Libia.
Succede, però, che soltanto uno dei due, Fady, riesce ad arrivare nel Belpaese perché il fratello si perde nel silenzio del mare, ma non per questo non continueranno a cercarsi in lungo e in largo, in un turbillon di colpi di scena.
A dialogare con l’autrice un gruppo di importanti relatori: Chiara Cannito, vicepresidente della cooperativa “Ulixes” e scrittrice, Savino Carbone, direttore di “Bitontotv” e Benedetto Sorino, già capo dei servizi esteri de “La Gazzetta del Mezzogiorno”.
“Il vero problema siriano – ha sottolineato subito Dachan – non è tanto l’indifferenza, ma una informazione a spot che ogni tanto ci ricorda che esiste la Siria ma soltanto in occasioni particolari. La voce dei siriani viene soffocata e si parla di Siria soltanto in modo manicheo, riferendosi solo a Trump e all’Isis”.
L’incipit – quello che conosciamo tutti, e che giornalisticamente è chiamato “primavera araba” – è il 2011, allorché iniziano le proteste contro il regime di Assad, soprattutto nelle università. Il problema, però, è molto più profondo:
“Il regime presente attualmente in Siria – ha analizzato la scrittrice – ha quasi 50 anni, perché parte da Assad padre che ha accerchiato a sé i poteri e il controllo dei media. Stanco di questo governo, nasce una rivolta pacifica che viene risolta. Poi dopo qualche mese, riscoppia con le armi e le cose precipitano sempre più, e inizia l’epoca dei bombardamenti sulle città, che ha provocato sei milioni di profughi durante questi anni di guerra”.
Questo è solo l’inizio, però. Anche perché dal 2013 è impossibile per i cronisti occidentali coprire la guerra, perché presenza dello Stato islamico ha reso tutto più difficile, e possono soltanto entrare se sono embedded, cioè con il permesso del Governo.
E sette anni dicono, anche, che tre milioni di ragazzi non vanno più a scuola, 12 milioni di persone non ha accesso all’acqua perché hanno bombardato gli acquedotti e avvelenato acqua nelle condotte, 175 strutture mediche sono state distrutte. Tu chiamala, se vuoi, emergenza umanitaria.
Aggravato da un caos generale, tra eserciti e presenze straniere, nell’importantissimo Stato del Medio Oriente, talmente importante che “qualsiasi cosa accada in Siria, ha ripercussioni in tutto il Medio Oriente”, Dachan dixit.
“Il conflitto è diventato internazionale con Russia, Cina e Iran che appoggiano Assad, c’è lo Stato islamico sia pur meno forte adesso, esercito dei ribelli, i curdi, i ribelli sostenuti dalla Turchia. E uno dei problemi della Siria è la sua posizione geografica. Vicino a Turchia, che tiene in ostaggio l’Europa bloccando i profughi. Iraq, in guerra da più di 30 anni. Giordania, in cui manca acqua, e l’Arabia Saudita, Israele, Libano. Senza dimenticare che la Siria ha riserve petrolifere non ancora sfruttate e Isis non ha scelto Raqqa come Capitale per puro caso”.
Tutto questo senza che l’Unione europea abbia mosso un dito, perché non può muoverlo, e con l’Italia che dal 2013 “è l’unico Paese che accoglie i profughi siriani diventando terra parziale di arrivo per chi vuole andare in Svezia e la Germania”, ha ricordato l’autrice.
Già, ma in questa polveriera che ogni giorno diventa più incandescente, quali saranno i prossimi scenari? “La prospettiva di una guerra endemica ci terrorizza perché non è così lontana come possibilità, ma c’è anche il rischio di una balcanizzazione della Siria”.