“La felicità è donare col cuore e creare con entusiasmo”. Non si sa se quando un pirotecnico e convincente Carlo Pice sul palco ha pronunciato queste parole ha illustrato il pensiero del suo personaggio, un Pulcinella che ha ricevuto in regalo dai bimbi i colori e il sorriso per divenir Arlecchino, oppure la poetica di Mariolina Acquafredda. È costei una professoressa che mai è stata davvero a riposo, dal momento che requiem non ha nel suo far zampillare sogni e idee dal cuore. I vulcani sono confortevoli spa appetto suo. Mariolina ama la storia della sua città – che per fortuna è anche la nostra-, il dialetto che ne è il suo canto e sono sicuro che si immedesimi soprattutto in una festa particolare: il Carnevale. Il momento dell’anno in cui è lecito pazziare, il frangente in cui il piccolo può dileggiare il grande, il servo può buggerare il padrone. Insomma, un turbine di follia che rende il mondo all’incontrario per consegnarsi, forse dopo illusoria catarsi, alla routine di tutti i giorni. Ecco, questo è stato “Coriandoli di gioia”, pure nome della associazione ideatrice della serata, frizzi, lazzi, ricordi e riflessioni che hanno stiracchiato ben bene le labbra dell’anima degli spettatori, per solito immalinconite all’ingiù dagli affanni quotidiani. Così, prima l’ariosa panoramica sulla storia della carnascialesca mattia, con incursioni gustose nella vita bitontina d’un tempo, animata da maschere caratteristiche e prendingiro come “la cenònne”, il dentista pazzo “Bòzze”, il cocchiere strambo “Gavòtte”. I versi fascinosi e antichi in rigoroso vernacolo dell’indimenticato prof Peppino Moretti, i giochi di prestigio con bianchi colombini e anelli luminescenti, che hanno lasciato di stucco gli astanti dell’illusionista Michele Cassano, la scenetta volutamente metateatrale di Carlo Pice e degli scolaretti dell’istituto “Sacro Cuore”, che raccontavamo al principio. Anche quest’anno, dunque, il genio imprevedibile di Acquafredda ci ha lasciato quel che resta dopo una vorticosa sfilata carnevalesca: coriandoli. Non di carta, ma di gioia, quella che consolatrice ti resta dentro, anche a sipario chiuso…