Sembra un labirinto, un luogo in cui perdersi per poi, magicamente, ritrovarsi. Viuzze, archi, pietre che raccontano storia e i passi lenti di chi ha costruito quelle case – che sembrano quasi un presepe a vederle da lontano – che si alternano ai passi veloci dei bimbi che corrono e giocano. Ma anche di chi delinque e scappa.
È il nostro centro antico. Così grande e così ricco di segreti, porte e luoghi dove, tutt’ora, non si può assolutamente passare. Terre ancora relegate a piccoli ghetti, dove non ci sono regole. Dove nessuno ha pensato mai di entrare se non per occultare “il ferro” e “la roba”.
E se un tempo c’erano le parrocchie a farla da padrone, oggi di parrocchie ne sono rimaste appena due: san Domenico e la Cattedrale, guidate dall’instancabile don Ciccio Acquafredda che cerca di aiutare tutti coloro che bussano alla sua porta nel pieno spirito Cristiano.
Ma quante anime, quanti pesci, il Signore dovrà ancora mettere nella sua rete? “Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia”, è scritto nel libro di Ezechiele: le Sacre Scritture sono interpretate, da alcuni, fin troppo alla lettera ma solo per far del male. E i “figli” stanno diventando, letteralmente, sempre più piccoli.
E questo sicuramente non è il luogo giusto per trovare colpevoli, né per continuare a sprecare parole e figure retoriche che lascino intendere la gravità della situazione. Bisogna fare qualcosa, come lo fecero quegli insegnanti, Marco, Cosimo, Domenico, e tanti altri che portarono la loro presenza, il loro giubilo per aiutare chi non aveva e non ha ancora una alternativa. Non la conosce soprattutto. Non sa come altro si può vivere. E ne ha bisogno, in maniera smisurata. In troppi hanno voltato la testa dall’altra parte.
E concludiamo con le parole da incorniciare che don Luigi Ciotti, qualche giorno fa, ha pronunciato in una assemblea al quartiere Libertà di Bari. «Nessuno è necessario, nessuno è insostituibile, ma nessuno può agire al posto nostro. Quindi se cediamo la nostra parte di responsabilità dicendo “Non mi interessa, è un problema degli altri”, vuol dire che stiamo rinunciando alla nostra libertà e alla nostra dignità. Per noi tocca sempre agli altri fare e ci rassegniamo a dire che le cose non cambieranno mai: il cambiamento che sogniamo e chiediamo alle istituzioni, al mondo della politica – che devono assumersi le proprie responsabilità – dobbiamo chiederlo anche a noi. Educhiamoci a cogliere le cose belle, illuminiamole, saranno loro a dirci che sarà possibile».
«La parola “legalità” non diventi la parola idolo, ma una parola di vita. I cambiamenti devono partire dalle nostre coscienze, unendo le forze, guardandoci. Il pericolo è la digitalizzazione dell’esistenza: confondere i contatti con le relazioni che richiedono attenzione, conoscenza, scoperta della diversità. Non scambio di informazioni, ma scambio di vita».