Nonostante lo strazio di una tragedia immane, c’è stato qualcosa di buono e antico nella vicenda dolorosa della morte di Davide Astori, capitano della Fiorentina. È stato come se il mondo sberluccicante dei semidei del pallone tutti cresteorecchinitatuaggi si fosse riscoperto nudo e fragile. Basta vedere il modo in cui è stata interrotta la giornata di campionato: un tam tam solidale di chiamate fra amici che si comunicavano l’improvvisa scomparsa di un compagno di mille battaglie. Si sono sentiti “Fratelli”, già, la parola ungarettiana tremante in quella notte terribile in cui il cuore di Davide si è fermato. E allora è venuta alla luce la bella verità di ragazzi che vivono la quotidianità con estrema semplicità. Forse perché Davide ne era l’emblema più sincero, col suo amore per una donna che aveva lasciato la tv per respirare la libertà dell’amore, con la sua piccola che sognava d’avere un padre eroe, con la sua passione per i film e la filosofia orientale, con la sua capacità d’essere leader silenzioso e saldo di uno spogliatoio, punto di riferimento per grandi e giovani. Quanta dolcezza nel ricordo di Saponara che posava il capo sulla spalla di Astori alla fine di un allenamento. Anno 2014. Gli ultimi mesi di Davide a Cagliari sono i primi di Antonio Balzano. Del suo cuore di calciatore magnanimo e tenace, mi fido. Pochi giorni bastarono per capire il valore dell’uomo che aveva davanti. “Sì, Asto lo conoscevo ed era una splendida persona. Non è un caso che la sua mancanza abbia lasciato il mondo senza parole… Questo ti fa capire che quaggiù siamo veramente nulla”, osserva con voce franta il difensore bitontino. “Non ci resta che pregare per la sua compagna e la bambina, non possiamo fare altro”, si ripromette il cuore ferito di Antonio.