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Home » A spasso con la Storia/Il sindacalista che voleva “colpire” la Mafia. Il 10 marzo 1948 moriva Placido Rizzotto

A spasso con la Storia/Il sindacalista che voleva “colpire” la Mafia. Il 10 marzo 1948 moriva Placido Rizzotto

Sindacalista ed esponente del Partito socialista, si batteva per concedere i terreni a chi li lavorava, i contadini. A ucciderlo Luciano Liggio e i suoi scagnozzi

La Redazione by La Redazione
3 Marzo 2018
in Cultura e Spettacolo
A spasso con la Storia/Il sindacalista che voleva “colpire” la Mafia. Il 10 marzo 1948 moriva Placido Rizzotto
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Questa storia è quella di un omicidio durato ben 64 anni.

Inizia il 10 marzo 1948 e finisce il 9 marzo 2012. Teatro di tutto è sempre un luogo soltanto. Un paesino a 50 km da Palermo.

Si chiama Corleone, che nella genesi di questa vicenda stava conoscendo, e non di lato, la parola “Mafia”. Quella di Michele Navarra, il dottore del Paese, ma anche il boss di tutto. Esponente della Democrazia cristiana, rispettuto e temuto da tanti, e che al suo servizio aveva uomini come Luciano Liggio, i suoi terribili compagni e un giovanissimo Salvatore Riina. Il futuro Capo dei Capi.

 

Il 10 marzo 1948, allora. Settant’anni fa, circa.

Gli altissimi pezzi della criminalità mafiosa corleonese sopra citati uccidono Placido Rizzotto, il sindacalista più importante della città di cui era anche presidente della Camera del lavoro, nonché influente esponente del Partito socialista.

Il corpo, però, non viene mai trovato. Bisogna attendere il 7 luglio 2009, allorché grazie a una accurata indagine della polizia scientifica, i suoi resti sono rinvenuti a Rocca Busambra, sempre lì a Corleone. Da quella data, però, passano altri tre anni e si arriva al 9 marzo 2012, per l’appunto. L’esame del Dna conferma che il mistero finisce lì.

Marzo 1948-Marzo 2012. La storia di un cadavere che ha riposato sempre dove è nato. Senza dimenticare il 24 maggio dello stesso anno, il dì in cui riceve i funerali di Stato alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

 

Già, perché Rizzotto nasce nel 1914. Rimasto orfano di madre da piccolo, deve lasciare la scuola per mantenere la famiglia dopo l’arresto del padre, accusato – incredibilmente verrebbe da dire – di associazione mafiosa.

Ingiustamente, ma è inutile ribadirlo.

Durante la Seconda guerra mondiale combatte in Carnia, in Friuli, e dopo l’8 settembre si unisce ai partigiani, tornando in Sicilia a conflitto terminato. Qui diventa subito presidente dei combattenti dell’Associazione dei partigiani, l’Anpi, ma si iscrive anche al Partito socialista italiano e diventa sindacalista della CGIL.

Fin qui nulla di strano. Il problema, però, è che nella Sicilia postbellica, dove da anni era attivo un Movimento per l’indipendenza dell’isola dal resto dello Stivale e che politicamente era un caso da studiare perché atipico, Rizzotto cerca di convincere i contadini corleonesi sulla necessità ribellarsi al sistema di potere mafioso, che possiede gran parte della terre, opprime i lavoratori e li assume soltanto su raccomandazione e per motivi nepotistici. Il sindacalista, infatti, è convinto che i terreni debbano andare proprio a chi li lavora, i contadini appunto, sottraendoli quindi alla Mafia.

Che, ovviamente, non sta a guardare, perché molte volte soffoca nel sangue e con la forza i tentativi di occupazione delle terre (ricordate l’episodio di Portella della Ginestra, 1° maggio 1947, prima strage di Stato?).

Ma Rizzotto, in realtà, diventa un bersaglio anche per un altro episodio. Una sera, infatti, ha il coraggio di umiliare Luciano Liggio sollevandolo durante una rissa scoppiata tra ex partigiani e uomini mafiosi appendendolo all’inferriata della villa comunale di Corleone.

Un affronto che deve pagare. Con la vita. La sera del 10 marzo 1948. Nerssuno da allora non ha saputo più niente di lui.

 

Attirato in un’imboscata da Pasquale Criscione, un compagno del sindacato fedele a Navarra, viene rapito e ucciso nella campagna corleonese da Luciano Liggio e dai suoi scagnozzi, ammazzato con tre colpi di pistola – – però secondo un’altra versione è portato in una fattoria di contrada Malvello, picchiato e fracassato al cranio -, e gettato quindi a Rocca Busambra.

L’episodio fa subito scalpore. La Cgil proclama subito uno sciopero generale, e le indagini sono affidate all’allora 30enne capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che subito fa arrestare lo stesso Criscione e Vincenzo Collura, che in un primo momento afferma che sarebbe stato proprio Liggio a sparare.

In aula, però, nel 1952, tutti sono assolti per insufficienza di prove, perché nel frattempo Liggio resta sempre latitante – è trovato soltanto nel 1964 a casa della compagna di Rizzotto – e anche Collura ritrae le sue confessioni.

 

Un omicidio senza colpevoli, seppur i nomi sono sulla bocca di tutti.

E, fino al 2009, pure senza cadavere.

Nella più classica delle storie incredibili.

Nessuno, però, può nascondere questo: “Politico e sindacalista fermamente impegnato nella difesa degli ideali di democrazia e giustizia, consacrò la sua esistenza alla lotta contro la mafia e lo sfruttamento dei contadini, perdendo tragicamente la giovane vita in un vile agguato ad opera degli esponenti mafiosi corleonesi. Fulgido esempio di rettitudine e coraggio spinti fino all’estremo sacrificio. 10 marzo 1948 – Corleone (PA)”.

 

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