Anche dopo 40 anni, il 28 novembre per Bari è sempre una ferita aperta.
Che fa ancora male.
Perché nel pieno degli anni della Strategia della Tensione, degli attentati terroristici in tutto lo Stivale marcati estrema destra ed estrema sinistra, della Democrazia cristiana che si stava avvicinando al Partito comunista, anche il capoluogo pugliese ha contribuito, involontariamente, a scrivere una brutta pagina di sangue della storia dello Stivale.
Si chiama Benedetto Petrone, un 18enne operaio di idee comuniste assassinato in pieno centro al termine di un agguato organizzato dai militanti dell’opposta fazione.
Era il 28 novembre 1977. Otto lustri fa, e oggi nella città di san Nicola sono numerose le iniziative organizzate per ricordare Benny – così era chiamato da tutti – e non dimenticare l’accaduto.
Ma chi era il giovane Petrone? Quinto di nove figli, apparteneva a una famiglia di umili origini che abitava nella parte vecchia di Bari, nel rione san Nicola. A diciotto mesi dalla nascita, aveva manifestato i primi sintomi della poliomielite, malattia che, inizialmente, gli paralizzò entrambe le gambe, ma non gli ha impedito di frequentare l’oratorio del quartiere e iniziare a studiare Ingegneria.
Fin qui, la classica vita di un giovane ragazzotto di città.
Il problema – ovvio che nella sostanza non lo era, ma per l’epoca calda dell’epoca lo diventa – è che Benedetto si era iscritto alla Federazione dei giovani comunisti italiani (Fgci), frequentando la sezione del Partito Comunista Italiano di Bari Vecchia. E tutto senza avvisare la famiglia.
A metà anni ’70, ancora ragazzo – era nato nel 1959 – lasciava gli studi e incrementava il suo impegno politico e sociale in un’Italia davvero nel caos.
E anche Bari lo era: la città era divisa in zone controllate da neofascisti, come i quartieri Carrassi, Murat, Poggiofranco e Japigia e altre di orientamento “rosso”, come la città vecchia e il campus universitario.
La tensione nel capoluogo pugliese si tagliava a fette: le azioni dei neofascisti partono spesso dalla sezione “Andrea Passaquindici” del Movimento sociale italiano e dalla federazione provinciale del partito, sita nel quartiere murattiano.
Le “ronde nere” presidiavano di sera interi quartieri e non mancavano gli episodi di violenza. Anche, e a più riprese, contro i giornalisti de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, uno dei più importanti quotidiani del Sud.
Un classico in quegli anni. La stampa vista come prezioso e fondamentale ingranaggio in quel mondo capitalista, imperialista e borghese da combattere.
Nel 1969 c’era stato l’assalto al Corriere della Sera, la battaglia di via Solferino.
Nel 1977, a giugno, è gambizzato Indro Montanelli. A novembre, il 29, viene assassinato Carlo Casalegno.
Nel 1980 la stessa sorte toccherà a Walter Tobagi.
Ma torniamo a Bari. È il pomeriggio del 28 novembre. Alcuni militanti della Fgci vengono aggrediti da un gruppo di missini in piazza Massari, a due passi dal Comune.
Tra di loro ci sono il diciottenne Benedetto Petrone e Franco Intranò, di 16 anni.
L’azione ha inizio quando, di fronte alla prefettura, una ventina di missini avvistavano i giovani comunisti e correvano a chiamare i rinforzi nella vicina federazione provinciale del Msi.
Quando il branco ha iniziato a scagliarsi contro i comunisti, tre di loro hanno iniziato a correre attraversando la piazza e disperdendosi nei vicoli della città vecchia, mentre Benedetto Petrone, a causa dei problemi di deambulazione, restava indietro, e viene raggiunto dagli aggressori che si avventavano su di lui con catene e bastoni.
E non gli hanno lasciato scampo. Benny viene accoltellato sotto la clavicola e all’addome, un colpo che gli risulterà fatale perché è arrivato in ospedale già morto. E Intranò, che nel frattempo era tornato indietro per salvarlo, viene gettato a terra e ferito da un’arma da taglio che gli penetra l’ascella.
Per sua fortuna, è riuscito a salvarsi e a descrivere tutto quello che è successo.
Persino chi erano gli aggressori.
Quella notte vengono fermati sei neofascisti, ma ormai il clima in città era davvero pesante. Per molti giorni a seguire, i giornali segnalavano soltanto scontri tra le varie fazioni, agguati, momenti di tensione, assalti armati.
Senza dimenticare la manifestazione con oltre 30mila persone svoltasi il 29 novembre, il dì successivo la morte di Petrone.
Intanto, dei sei giovani fermati poche ore dopo l’omicidio di Petrone e il ferimento di Intranò, tre hanno confessato subito e vengono rilasciati, gli altri tre sono arrestati per favoreggiamento: tutti gli indagati risultano iscritti al Fronte della Gioventù e, dall’interrogatorio, spunta il nome di Giuseppe Piccolo, 23 anni, come esecutore materiale dell’assassinio del giovane comunista.
Il processo, tra interruzioni e lungaggini, condannerà il fascista a 22anni e mezzo di carcere, solo che, il 21 agosto 1984, si è suicidato, impiccandosi nella sua cella del carcere di Spoleto.
Quarant’anni dopo, Bari non dimentica. E quest’anno ha organizzato cinque giorni di appuntamenti per ricordare il proprio figlio