Questa storia ci riporta indietro di ben 90 anni, ma nonostante sia passato così tanto tempo nessuno ha dimenticato una sola virgola.
Tutto è ancora chiaro nelle menti e nei ricordi degli appassionati di storia, italiani e oltre oceano.
Già, perché quando si fanno i nomi di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti è impossibile non (ri)accendere la lampadina sulla loro vicenda. Assurda e incredibile al tempo stesso. Una grave ferita che non si cancellerà mai.
Chi sono? Sono due nostri connazionali che, il 23 agosto 1927, al termine di un processo farsa costruito su accuse nulle e incosistenti, sono stati giustiziati da innocenti sulla sedia elettrica.
Una grande pagliacciata giudiziaria, dunque, che però nessuno all’epoca ha voluto capire, o ha fatto finta di non voler comprendere.
Una vicenda di ordinaria ingiustizia, arricchita dal fatto che 50 anni dopo la loro morte, nel 1977, il governatore del Massachusetts – lo Stato americano dove sono stati giustiziati i due italiani – Michael Dukakis ha riconosciuto in un documento ufficiale gli errori commessi nel processo e ha riabilitato completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
Ma chi erano costoro? Bartolomeo Vanzetti, «Tumlin» per gli amici, è nato nel 1888 a Villafalletto nel Cuneese, ed era figlio di un agricoltore. A 20 anni è entrato in contatto con le idee socialiste, e dopo qualche anno ha deciso di partire per l’America, miraggio di una vita migliore per gli italiani dei primi del Novecento. Stabilitosi nel Massachusetts, ha militato in gruppi anarchici e nel 1917, per sfuggire all’arruolamento, si è trasferito in Messico. Ed è qui che ha stretto amicizia con Ferdinando Nicola Sacco, pugliese nativo di Torremaggiore, nel foggiano, classe 1891, professione operaio in una fabbrica di scarpe. Da allora, Nick e Bart sono diventati inseparabili nonché a frequentare i circoli anarchici.
Siamo in un periodo particolarmente caldo negli e per gli Stati Uniti d’America. C’era una intensa paura per i comunisti – tutti avevano negli occhi cosa stesse accadendo in Russia con l’ascesa bolscevica – la cosiddetta paura 1917-1920.
Anche per questo motivo, l’allora presidente Thomas Wilson stava organizzando alcune ben precise azioni contro gli esponenti di sinistra, sia quelli dichiarati che non, ma era già inviso agli italiani per non aver tenuto fede ai patti di Londra sanciti durante la Prima guerra mondiale.
In questo contesto, il 5 maggio 1920 i due italiani sono arrestati perché nei loro cappotti nascondevano volantini anarchici e alcune armi.
Ma il peggio deve ancora venire.
Tre giorni dopo, infatti, sono accusati anche di una rapina avvenuta a South Braintree, un sobborgo di Boston, poche settimane prima del loro arresto, in cui sono stati uccisi a colpi di pistola due uomini, il cassiere di un calzaturificio e una guardia giurata.
Dopo tre processi, Sacco e Vanzetti sono condannati a morte, nonostante contro di loro non ci fosse nessuna prova certa, e la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros in cui ha ammesso di aver preso parte alla rapina e di non aver mai visto gli italiani.
Tutto inutile.
E a nulla sono servite la mobilitazione della stampa, la creazione di comitati per la liberazione degli innocenti e gli appelli più volte lanciati dall’Italia. Persino da Benito Mussolini.
Niente da fare. I due anarchici devono morire. Anche se innocenti.
Triste il loro destino: assassini negli Stati Uniti, nel primo ‘900 meta preferita di tanti italiani, soprattutto meridionali, che migravano con la speranza di trovare fortuna, martiri nel resto del mondo.
Anche grazie a una vasta letteratura cinematografica. Indimenticabile, nel 1971, la pellicola italo-francese di Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla nei panni dei due anarchici, colonna sonora musicata da Ennio Morricone e interpretata da Joan Baez, autrice dei testi.