Per gli appassionati e gli amanti della storia, specie quella contemporanea, la data del 6 giugno fa riecheggiare qualcosa di veramente importante.
Una tappa davvero decisiva nelle sorti della Seconda guerra mondiale.
È il dì del D-Day, espressione che in realtà non significa nulla ma che gli anglosassoni utilizzavano fin dalla Prima guerra mondiale per ricordare il giorno di una precisa operazione.
Ebbene, questo D-Day, il 6 giugno 1944, aveva un nome segreto che era “Overlord”, è anche detto tecnicamente “Operazione Neptune”, ma è meglio conosciuto come lo sbarco in Normandia.
Arrivo che, a dispetto del nome, non è per nulla vuoto di significato.
Gli eserciti di Stati Uniti, Regno Unito e Canada mettono piede nel nord della Francia in quella che è stata una delle più grandi operazioni militari mai tentate e un punto di svolta nella lotta al nazifascismo.
Sappiamo tutti come è andata quell’incredibile giornata: dopo durissimi combattimenti che costarono 12mila tra morti e feriti, gli alleati sono riusciti ad attestarsi sulle spiagge, e dare inizio allo scontro che si sarebbe concluso con la resa della Germania hitleriana. Ma soltanto 11 mesi più tardi, nel maggio 1945.
Ecco perché, nonostante l’operazione sia riuscita, lo sbarco non è stato un successo totale in quanto la battaglia completa è durata oltre due mesi (finisce il 25 agosto) con gli alleati che hanno dovuto contare oltre 220mila perdite, tra morti, feriti e prigionieri.
Ma perché è decisivo questo D-Day? Nel giugno 1944 erano già passati quattro anni da quando la Francia era stata invasa e conquistata dai tedeschi, e da quel momento inglesi ed americani erano riusciti a impegnarli soltanto su fronti secondari. Gli unici e pesanti grattacapi per i seguaci di Hitler erano arrivati da est, dalla ex alleata Unione Sovietica, scelleratamente invasa nel giugno 1941, senza fare i conti con il freddo e il gelo che sarebbe sopraggiunto da lì a qualche mese. E devastante per i germanici, costretti in una lunga e mortale ritirata.
Accade, allora, che proprio nel 1944, Josip Stalin pretendeva che gli anglosassoni aprissero un “secondo fronte”, cioè un ampio campo di battaglia dove inglesi e americani potessero schierare i grandi eserciti che avevano da anni ma pronti e immobili nel Regno Unito.
L’unico punto possibile era proprio la Normandia, ottimo per cogliere di sorpresa il nemico appostato sul Canale della Manica, neanche tanto distante dalle coste dell’Inghilterra, e offriva anche ampie spiagge sabbiose facili da assaltare.
L’importanza dello Sbarco in Normandia sta anche nella vastità e nella maestosità dell’operazione, secondo soltanto a quello in Sicilia di qualche mese prima, ma ben più cruento per quanto riguarda i combattimenti, davvero violenti.
Basti pensare che soltanto nel primo giorno, il 6 giugno appunto, 150mila soldati attraversarono il Canale della Manica, trasportati o appoggiati da quasi 7mila navi e 11mila aerei.
É davvero tutto? Non proprio, perché ci sono da aggiungere altri aspetti, non meno importanti di questa fondamentale evento storico.
In primis il fatto che lo sbarco era previsto per il 5 giugno, ma è stato rimandato a causa delle pessime condizioni meteo che c’erano sulla Manica, con tanto di macroscopico errore di valutazione da parte dei metereologi britannici, convinti che 24 ore dopo tutto si sarebbe calmato. Così non è stato, ma è stato un bene, non un male.
In secondo luogo, guai a dimenticare il fotoreporter ungherese Robert Capa, uno dei pochi che è riuscito a fissare sulla pellicola i momenti dello sbarco, documentando con 106 scatti i drammatici momenti del secondo sbarco a Omaha Beach. E fotografie che hanno ispirato, poi, Steven Spielberg per il film “Salvate il soldato Ryan”.
In questa immensa operazione, infine, non c’erano soltanto inglesi, americani e canadesi, ma anche truppe australiane, belghe, cecoslovacche, francesi, greche, olandesi, neozelandesi, norvegesi e polacche.