Ai tempi della mia fanciullezza quello pasquale era un periodo magico, foriero di una primavera che era alle porte, di prelibatezze che inondavano tutte le case di profumi ormai andati, di celebrazioni e riti che incantavano ogni volta, di una fede e di una speranza che si rigeneravano di volta in volta nei cuori degli umili, dei sofferenti, dei poveri, di coloro a cui ormai non era rimasto null’altro a cui aggrapparsi.
Il concetto di condivisione si concretizzava soprattutto in quel periodo; chi poteva permettersi di preparare dolci e manicaretti tipici della Pasquali spartiva con i componenti meno abbienti della famiglia.
E tutto in un clima di naturalezza e semplicità che per quei tempi era la norma.
E le uova? C’erano anche quelle insieme alla colomba e all’agnello.
Tre simboli pasquali ormai radicati nel tempo il cui significato interessa sempre meno gente, tranne il fatto che sono del tutto commestibili.
Ma ciò che attizza di più ancor oggi è l’uovo pasquale, quello di cioccolato ovviamente, ma non tanto per soddisfare il piacere della gola, quanto per la sorpresa in esso contenuto.
La curiosità, la voglia di essere sorpreso sembra catturare di più l’attenzione dell’essere umano, prima ancora del “peccato di gola”, di quel piacere intimo, di quella sensazione di appagamento che il cioccolato elargisce al nostro corpo man mano che si scioglie in bocca.
Ma ahimè, la sorpresa è quasi sempre deludente e quella ansia che ci tiene stretti a sé per tutto il tempo dell’attesa, in un sol attimo, nel preciso istante in cui quel “sarcofago” viene violato estraendone il contenuto, ci abbandona sino a farci rientrare nella condizione di prima che per tanti si traduce nella grigia routine di ogni giorno.
Un “sarcofago”! E’ la prima immagine a cui mi rimanda quella piccola realtà quando si presenta alla mia vista. Un piccolo involucro di questa non ben definita figura geometrica in cui la vita e la morte dividono lo stesso spazio finchè una delle due realtà non ha il sopravvento.
Il guscio si squarcia, ed è il trionfo della vita.
Oppure resta integro fino al limitare del suo tempo, ed è il trionfo della morte.
Un “sepolcro”! E’ la seconda immagine che segue la prima che mi parla sempre di vita e di morte ma con una variante essenziale: la morte quale mezzo per la vera vita.
La ricorrenza della Pasqua andrebbe vissuta, al di là delle celebrazioni, delle consuetudini, delle tradizioni popolari, delle bellissime scenografie e rappresentazioni, all’insegna di quest’ultima riflessione ovvero realtà ecclesiale: la morte quale unica via per un “passaggio a ciò che non passa”.
Ovvero la possibilità di uscire dalla tomba aggrappati a Cristo risorto.
Buona Pasqua.