L’infanzia violata.
Cancellata.
Violentata.
Stuprata.
L’inferno accanto a noi. Forse, anche dentro qualcuno di noi.
Il servizio delle Iene, celebre trasmissione di Italia 1, andato in onda ieri sera, ha schiuso un vaso di pandora ricolmo di mestizie e nefandezze.
Sullo sfondo, lo stadio “San Nicola” di Bari. Poi, i viottoli e le campagne circostanti come teatro della vergogna più terribile che ci sia.
Bambini in vendita per pochi spiccioli sul ciglio della strada.
Salgono sulle auto di sconosciuti, spesso manco sanno sistemare la cintura di sicurezza, i piedini non arrivano neppur sul tappetino, mimano gesti inequivocabili che descrivono rapporti sessuali e masturbazioni e non sanno, non possono sapere che stanno facendo strame della propria anima.
Lo fanno, ormai, con consumata destrezza, come se fosse normale a 8 anni sapere se uno è attivo o passivo per passare venti minuti di pseudopiacere ed intascare decine di euro.
E la consuetudine brutalmente naturale fa di ogni giorno una notte perenne.
Recide fiori che non sbocceranno mai.
Bruchi destinati eternamente a restare bruchi, strisciando nel letame dei giorni ed illudendosi di possedere il mondo.
Un mondo fatto di tutti noi: panettieri, militari, giudici…
Tutti cinicamente e disgustosamente impegnati a realizzare il loro sogno nero (e malato) della pedofilia.
Eppoi questi fanciulli, con quelle banconote, di corsa dalle prostitute per assaporare anche loro l’amore a pagamento. Perché tutto ha un prezzo, tranne il cuore, che, infatti, in questa brutta storia è stato sepolto da un pezzo.
Molte vittime – perché tali sono, anche se non ne sono consapevoli – vengono dalla ex Jugoslavia e vivono in un campo di roulotte arrugginite.
E questo ti fa pensare ancora che, in fondo, è un dramma loro, non nostro.
Distante.
Chissenefrega.
Ma la nostra coscienza ipocrita non fa a tempo a tirare un sospiro di sollievo che, d’improvviso, uno di quei ragazzini che si avvicina all’auto dell’attore per fare le sue profferte amorose, afferma con ignara spavalderia: “Ho quindici anni, sono di Bitonto”.
Sì, avete capito bene. “Di Bitonto”.
E noi dove eravamo?
Dove siamo?
Tutti davanti alla tv pensando di essere incolpevoli?
O, forse, non è piuttosto vero che ognuno di noi – sottolineo: noi – una piccola parte di colpa ce l’ha?
A cominciare dai genitori del piccolo?
Interrogativi retorici che scateneranno l’indignazione di chi ritiene che stolto è il giornalista che li pone. A Bitonto, purtroppo, usa così. Siamo abituati.
Così come siamo abituati pure al teatrino che conclude lo scavante servizio delle Iene, con assistenti sociali presto accorati e forze dell’ordine efficientissime nel mettere fine a questo orrore, più per la paura dell’invereconda figura barbina che le telecamere faranno fare loro che per dovere professionale, se non proprio etico.
E che non lo sapevano prima che c’era tutto questo obbrobrio?
E ignorano, per caso, che tra qualche mese tutto tornerà come prima, perché se gli scriccioli si prostituiscono è perché ci sono clienti bestiali assetati dei loro servigi e delle loro grazie franate per sempre in un nulla osceno?
Per rivedere il servizio: http://mdst.it/03v702044/