Sono dati contrastanti
quelli pubblicati nel rapporto Ipres
2016 (Istituto pugliese di ricerche economiche e sociali) relativi allo
stato dell’economia pugliese e al suo mercato del lavoro. Secondo l’analisi, presentata
lunedì scorso nella Sala Guaccero del
Consiglio regionale, a fronte di un incremento del Pil pugliese del 2015 al
di sopra della media nazionale, si registra un’emorragia di giovani e occupati
nei settori specializzati. Nello specifico, fra il 2008 e il 2015 si è verificata una flessione complessiva di 107 mila occupati, con una leggera ripresa
nell’ultimo anno (28 mila occupati in più). Per coloro i quali vantano un
titolo superiore alla licenza media si è riscontrata una contrazione di 8 mila occupati, che hanno preso la via della cosiddetta “nuova
emigrazione”. Al contrario, sempre nel periodo suddetto, si è registrato un aumento dell’occupazione di bassa qualità(i cosiddetti “colletti bianchi” e “colletti blu”).
Per quanto riguarda il Pil, limitatamente all’anno 2015, si è osservato un incremento
superiore a quello nazionale. Nella fattispecie, la Puglia crescedell’1,2%,scavalcando Mezzogiorno (+1,1%) e il Paese intero (+0,7%). Per il 2016 è previsto un consolidamento del trend. Aumentano i consumi delle famiglie,
mentre diminuiscono gli investimenti pubblici e privati, che passano dai 13,9
miliardi del 2000 ai 10,5 del 2014 (-3,4 miliardi). Decrescono gli investimenti
nel settore manifatturiero, mentre il comparto “mezzi di trasporto” aumenta del
21% nello stesso periodo.
In riferimento alla popolazione straniera residente in
Puglia, questa è quadruplicata dal 2002 (dal 0,7% della popolazione totale al
3%). Dal 2008 al 2015 sono aumentati sensibilmente gli occupati stranieri (+86%
a livello regionale): quelli provenienti dall’Ue sono 20642, gli extra-Ue
32444. Infine, dal 2003 al 2016 è mutato il quadro di composizione della
popolazione straniera: oggi i più numerosi sono i romeni (12692), seguiti da
albanesi (11936) e marocchini (5519). Questi si distribuiscono in settori quali:
servizi collettivi (26%), agricoltura o pesca (20,3%), istruzione e sanità (13,3%).
Quasi tutti i cinesi lavorano nel commercio.