Corleone.
Paese della città metropolitana di Palermo conosciuto in tutto il mondo,
specialmente per i numerosi film, le serie televisive, i libri che ne parlano.
Parlano del bellissimo agro che si estende attorno al centro abitato, che
comprende montagne, cavità naturali, piccole cascate e due fortezze medievali,
il castello soprano e quello sottano.
Tanti
sono i turisti che visitano il paesi del palermitano per vedere dal vivo quanto
elencato.
Sì,
certo. Come no!
In
realtà, sarcasmo a parte, la prima cosa che viene in mente pensando a Corleone
non è la bellezza dell’agro, non è un antico castello, non è una cascata. No, è
qualcosa di molto meno bello: la mafia. Dalla letteratura al cinema più volte
il paese è stato associato alla presenza della criminalità organizzata.
Pasquale Squitieri vi ambientò nel ’78 il suo “Corleone”, con Giuliano Gemma e
Claudia Cardinale, mentre l’anno dopo la città è protagonista di “Da Corleone a
Brooklyn”, film poliziesco con Maurizio Merli e Mario Merola. Ma è la
trilogia del Padrino di Francis Ford Coppola a portare il paese alla notorietà internazionale. È
Corleone infatti la città di provenienza di Vito Andolini, il cui cognome, per
un errore burocratico all’arrivo negli Stati Uniti, viene sostituito dal nome
del paese natìo.
Ma
ancor prima, a rendere tristemente famosa la località, è l’aver
dato i natali a criminali ben peggiori della famiglia Corleone. Peggiori per
il semplice fatto di essere reali e non fittizi.
Tuttavia quella di Corleone non è solo storia di mafia, ma anche storia di chi si è
opposto ad essa, come il sindacalista Placido Rizzotto o il sindaco Bernardino
Verro, entrambi assassinati per il loro impegno a favore dei contadini contro
lo strapotere mafioso. Corleone è anche la città di tanti che si impegnano a
testimoniare il male portato da Cosa Nostra. Come i volontari del Cidma, Centro
Internazionale di Documentazione su Mafia e Antimafia, che da anni si batte per
testimoniare i crimini commessi da Cosa Nostra. Situato in pieno borgo antico, il centro raccoglie un’interessante mostra fotografica e numerosi
documenti originali del maxiprocesso che tra gli anni ’80 e i ’90 portò
all’arresto di tanti mafiosi di spicco. Tra questi le dichiarazioni rilasciate da
Buscetta a Giovanni Falcone.
«Questo è il vero don Vito Corleone!» ci dice
una giovane guida del Cidma, indicando una foto di Totò Riina. Così è solita spiegare ai
turisti il vero volto della Mafia.
Spesso, infatti, soprattutto gli stranieri hanno un’idea mitizzata,
edulcorata della mafia. Quasi fosse un manipolo di individui che, per
quanto dediti al crimine, hanno la gentilezza e la garbatezza di Marlon Brando,
o il coraggio di Robert De Niro (il giovane
Vito nel secondo film) quando uccide (per poi prenderne il posto) l’odioso boss Fanucci. Credono alla favola della
mafia che non uccide donne e bambini, come il Tony Montana di Scarface, ignorando la vicenda, reale e tragica, del piccolo Giuseppe Di
Matteo, figlio di un pentito di mafia, rapito per far tacere il padre,
sequestrato per due anni e poi ucciso e sciolto nell’acido. O quella di
Giuseppe Letizia, giovane pastorello che assistette casualmente all’omicidio di
Placido Rizzotto. Ritrovato il giorno dopo mentre vagava sotto shock nelle
campagne corleonesi, il bambino fu portato all’ospedale cittadino, diretto
allora dal primario e boss mafioso Michele Navarra. Quest’ultimo, ascoltando i
deliri del giovane, intuì la situazione e lo uccise simulando una morte
naturale.
Spesso,
dunque, si pensa alla mafia come qualcosa di negativo sì, ma non poi così tanto
e con alcuni aspetti positivi.
«Talvolta ci dicono addirittura che è grazie
ad essa che a Corleone e in Sicilia giungono soldi – ci riferisce la
volontaria – E alcuni giungono qui
credendo di trovare la casa dove sarebbe vissuta la famiglia Corleone prima di
sbarcare nel continente americano».
Questo
è dunque il lavoro del Cidma: far capire l’entità del male portato dalla mafia
in quella splendida terra quale è la Sicilia. Male fatto di soprusi, omicidi,
arroganza. Un male che impedisce a chi vuol investire onestamente di mettere
piede e di far crescere l’economia sana.
«Vorremmo
promuovere la nostra Corleone rendendo note le nostre bellezze, la nostra
storia. Ma se dicessi ad un turista di venire da noi per visitare il paesaggio,
le chiese antiche, i castelli, non avrei la minima attenzione» confessa
rammaricata la ragazza non risparmiando critiche alla stampa, colpevole spesso
di ingigantire le vicende inseguendo il sensazionalismo, lasciando trasparire
una realtà diversa di Corleone. L’esempio è un servizio fatto in
occasione della morte di Provenzano, in cui alcuni abitanti intervistati
descrissero il defunto come una brava persona.
«Se intervisti un anziano poco colto che
magari ha vissuto per 80 anni accanto a loro, cosa vuoi che ti risponda? Perché
non sono venuti anche da noi per sentire quel che avevamo da dire?» accusa
la giovane.