A volte si ha l’impressione, girando per l’Italia, che
un pizzico di bitontinità debba capitare sempre. Sono stati molti e sono ancora
tanti i concittadini che hanno dato lustro e notorietà al nostro paese.
Ieri, durante una piccola – fugace e breve – pausa domenicale,
siamo finiti per approdare a Campi Salentina nel profondo Sud della Puglia,
avvolto da un sole piacevole e quasi primaverile.
Cercavamo Carlo
Rosa. Disperatamente.
E alla fine abbiamo incrociato non solo lui, ma le
nostre esistenze con un docente dal cuore grande, Tarcisio Arnesano. Lo sguardo vispo, le mani tra i libri antichi
della sacrestia e il cuore pieno di ricordi cari non solo a lui, ma alla città
tutta. Abbiamo attraversato alcuni
momenti, piccoli aneddoti su Carmelo
Bene, che pure ha vissuto a Campi i primi vent’anni della sua vita, e le
corse, e i dispetti, e le messe recitate dall’attore nella fabbrica di manifattura
tabacchi dei genitori, assieme all’allora piccolo amico Tarcisio.
Nel frattempo è arrivato il parroco e con lui le chiavi
della chiesa di rimpetto alla Matrice dedicata alla SS. Trinità.
Si spalancano le porte della piccola perla dedicata a
S.Oronzo e i rintocchi quasi suonavano frenetici per la messa. Ogni mandata che
veniva aperta dinanzi a noi era un rintocco per il cuore che s’è trovato senza
fiato dinanzi alla magnifica bellezza nel nostro (essì, diciamolo a gran voce!)
Carlo Rosa.
La peste che imperversò nel 1658 il Regno di Napoli non toccò la provincia
di Lecce e la religiosità popolare attribuì questo evento ad un miracolo di sant’Oronzo – assieme a san Giusto e
Fortunato – era sicuro intercessore presso Dio, sicuro avvocato a favore di una
umanità laboriosa che chiedeva riparo dalle calamità naturali, terremoti e
spaventosi temporali.
A Campi la devozione fu così tanta da eleggere il santo
Protettore principale della città. Fu fatta, quindi, una colletta e con il
ricavato si fece dipingere dal maestro Carlo
Rosa un quadro che fu posizionato nella chiesa Matrice.
L’opera, però, secondo Mons. Luigi Pappacoda, meritava ben altra collocazione, tanto da far
edificare di fronte la chiesa Matrice un’altra chiesa: da un capo all’altro dell’altare
doveva sembrare quasi un’unica basilica.
La costruzione, cominciata nel 1662, fu completata nel
1670 e al suo interno furono edificati tre altari realizzati in carparo: uno
per sant’Oronzo, uno alla Madonna
Immacolata e il terzo a sant’Anna,
tutti ad opera autografa di Rosa.
Nel primo, viene raffigurato sant’Oronzo nell’atto di
intercedere dall’alto: indossa i paramenti del Presule, schiaccia coi piedi gli
idoli pagani, benedice con la mano destra, mentre protende la mano sinistra sulle
due città di Lecce e di Campi, presentategli su un piatto da un angelo. Un
altro angelo, invece, regge il Pastorale. È credenza popolare che la mano di
sant’Oronzo nel dipinto si sia miracolosamente abbassata, rispetto alla
posizione datale dall’artista, a maggiore tutela delle città protette.
L’altare, poi, fu completamente rifatto e adornato da
ricche sculture policrome in pietra leccese. Le colonne riccamente scolpite,
sono sormontate dalle magnifiche statue di san Fortunato e san Giusto; sulle
porte laterali della sagrestia da segnalare le statue di santa Irene e santa
Monica.
Negli ulteriori due altari è inequivocabile il segno
del pittore sia per la firma, posta in basso a destra in entrambe le
raffigurazioni, ma anche per i colori, le figure che tornano nelle sue opere.
Particolare attenzione la merita l’Immacolata che sembra trasferire un pezzo di
Bitonto lì: ha gli occhi puri della nostra Vergine, l’abito che pare dipinto d’un
soffio di cielo, gli angeli a sostenerla nell’ascesi.
Ma cosa ci faceva Carlo Rosa a Campi Salentina? Era il
17 giugno 1643 quando il pittore bitontino prese in sposa Caterina Falco, originaria proprio di Campi, e con lei raggiunse il
paese salentino tanto da lasciare una cara e chiara impronta della sua bottega,
rimasta aperta per tempo anche con i suoi discepoli.
E allora, non è forse davvero l’amore a muoverci intimamente,
a sostenerci e a trovare nuovi luoghi dove poter donare il nostro sapere? Al di
là di ogni polemica, di ogni bagarre, di ogni tristezza, la nostra Bitonto è
cultura. Lo siamo, lo siamo stati e dobbiamo impegnarci affinché non lo si
dimentichi.
Con amore verso ogni pietra, ogni pennellata, ogni
nota, lasciata dai nostri cari.
Galleria Fotografica: Paky Cassano