E – grege sig. presidente della
repubblica italiana, Sergio Mattarella,
Svilupperò fra poco, elencandole,
le ragioni, le motivazioni per le quali ho usato le iniziali minuscole di
“presidente”, di “repubblica italiana”. Intanto, per Rodare il mio Discorso, le
Dico,”statim”, che se fossi IO, presidente di una repubblica, di una nazione,
di uno “stato”, come è sorto, come s’è sviluppato, com’è il nostro, MI
vergognerei di esserne al vertice, il “primus civis”. Il mio e il suo “stato” è
dalla sua “unità” un participio passato e “ad aeternum” lo sarà. In codesto
participio passato, che è il nostro “stato”, sono incardinate tutte le
malefatte, le grassazioni, le prevaricazioni dei suoi governanti, le piaggerie
dei loro servi, l’assenza del suo popolo al metaforico “tavolo”, ove si sono
decise le sue sorti, che,
effettualmente, avrebbero dovuto far emergere il presente e il futuro dalla
sperata discontinuità col passato. E’ inutile Ricordarle che, all’atto della
proclamazione dell’ ”unità” d’italia nel 1861, la più parte degli abitanti
dello stivale non sapeva che al posto dei duchi, granduchi, signori, ancora,
feudali, di una miriade di staterelli; che al posto dei borboni, dal cui
cilindro venivano fuori i despoti del reame delle “due sicilie”, era subentrato
il “membro” (nella sua accezione da trivio) di una delle casate regnanti più
guerrafondaie, più retrive d’europa: il savoia vittorio emanuele II che, tra l’altro,
si esprimeva in francese o in dialetto torinese. Il re dell’italietta che non
conosceva il Volgare, di cui Dante Si Servì per Scrivere, secondo Umberto Saba,
il più Bel Verso d’Amore: “La bocca mi baciò tutto tremante”! Per non, con
incontenibile rammarico, parlare di quella enclave statale, posta al centro
dello stivale (secondo Machiavelli e Guicciardini, un bubbone cancerogeno) che,
pur, essendo stata costretta e ristretta, territorialmente, nei/ai palazzi
vaticani, sparsi,”tamen”, con la loro extraterritorialità in roma, su cui i
suoi papi regnanti esercitano il loro annoso temporale potere teocratico, da
millenni esercitato nel lazio, le marche e parte dell’emilia, ieri, come oggi,
non ha mancato, non manca di dettare “ubi et orbi” la sua morale, che è un modo
impolitico, non Etico di stare al mondo, non esemplato sui Vangeli,”sed”sulle
glosse ad Essi inflitte, seguendo il “regolo”, mai “lesbio”, dei desiderata,
degli interessi di coloro (pochi) che, sempre, hanno potuto e possono ciò che
hanno voluto e vogliono. Popolo assente, ché non Educato dalle contingenze,
dagli accidenti storici, né “sua sponte” educatosi, nonostante l’”ultra”
cinquantennale scolarizzazione di massa, a fare dell’italietta l’Italia, dal
Manzoni Sognata nell’Ode “Marzo 1821”,”una
d’arme, di lingua. d’altare. /di memorie, di sangue e di cor”. Lo Stimma della
Moderna Nazione nella Sintesi di Questi Icastici Versi: la Nazione è Individua, Unita,
quando il Sentire dei Singoli S’Affratella nella Progettuale Comunanza di
Ideali; quando la Lingua,
sia pure, Rivisitata dalle Rinnovate Urgenze della Comunicazione, dei Grandi
Poeti, Scrittori, Filosofi, Scienziati, Diventa la Religiosa, Socializzante
Sollecitazione ad “Astra”, alla Platonica “Idea” dei Valori, alla Bellezza di
Essi, di Essa, Fornendo alla Collettività Nazionale una Precipua Civiltà. Non
poté Assurgere ad Unità Nazionale una, secondo Moravia, federazione di famiglie
(in continuità con la federazione delle “gentes” nella vicenda storica di roma
repubblicana e imperiale), di magnanimi lombi o di mentalità borghese, esclusivamente,
dedite al proprio profitto, non sempre, lecito, o di proletaria, se non
bracciantile, condizione, forzate o persuase a prendere le armi non per
Difendere la Propria
Libertà, ma per conculcare la Libertà altrui. Se, una
volta, nella Storia dell’italietta unita, sono state esse “resistenti” alle
mene di un despota, lo sono state in modo alfieriano, cioè, uccidendo il
tiranno e i suoi tirapiedi, non sforzandosi di focalizzare nella loro sottocultura
i germi che avevano inquinato la vita sociale, sì da delegare all’”uomo solo al
comando” quei Doveri, Responsabilità, Propri dei Cittadini nella “Polis”, di
cui i condòmini si accollarono, si accollano solo all’interno del condominio,
ove vegetarono, vegetano ”more animalium”. Oggi, non c’è più il predappiano
(anche se un putto rignanense per ben due anni l’ha scimmiottato nei gesti,
nella postura, nel linguaggio tribunizio da balcone. Lei, sig. presidente, non
se n’è accorto?), ma una oligarchia, non importa se, variamente, colorata, di,
eticamente, improbabili rappresentanti di esse, dai “borghi selvaggi” fino ai
principeschi “palazzi” romani, fa e disfa ai danni di esse, non d’altro
preoccupate se non di ”scià, di mangià,
dell’atalanta”, i tre massimi (dis)valori (ovviamente, ogni tribù regionale ha
la squadra di calcio d’elezione) ai quali s’ispira il vissuto degli italiani.
Sig. presidente, i presidenti della repubblica, i governi, le istituzioni
dell’italietta, dalla promulgazione della Costituzione Italiana in roma, il
27dicembre del 1947, fino ai nostri giorni, su quale porzione, fetta dello
stivale hanno esteso, estendono e, forse, estenderanno, i loro poteri, le loro
facoltà, insomma, la loro autorità ? Le Pongo questa Domanda ché, se “Miro” la
campania, parte della puglia, la calabria, la sicilia, ufficialmente, in mano alla
camorra, alla sacra corona unita, alla’ndrangheta, a cosa nostra e, a macchia di leopardo,
codeste mafie con le loro metastasi, ufficiosamente, attestarsi,
spadroneggiando, non solo, in quartieri di grandi e piccole città, sì che le
forze dell’ordine, difficilmente, si azzardano a fiutarvi i miasmi del delinquere, “sed etiam”
nelle regioni del centro e del nord; se M’Adonto che basi della “nato”, a
egemonia degli “states”, con il loro minaccioso potenziale bellico sono dislocate
su una miriade di zolle italiche, ove è ”off limits” la curiosità degli
indigeni (craxi ci provò a sigonella e i suoi fedelissimi sono costretti ad
omaggiare la sua urna ad “hammamet”); che palazzi del vaticano, chiese,
basiliche, collegi, monasteri cattolici godono in roma e per la penisola
italica del privilegio della
“extraterritorialità”, e behhh, e – grege presidente, “quo vadit cum potestate
sua” ? Ho Portato le mie Parolette troppo per l’aia del mio foglio bianco ché,
e – grege presidente, ciò che le sto per Scrivere è di una gravità, secondo ME,
inaudita, se si Medita che il Cittadino Italiano, “rara avis”, Onesto,
Scrupoloso nell’Attendere “ad Sua Officia”, non è, assolutamente, Tutelato
nella sua Integrità Fisica, Rispettato nella sua Dignità dallo “stato” e, per
esso, dalle “forze (????) di polizia”. Ebbene, qualche giorno fa in catania (dove
nel ’94 del secolo scorso Feci Parte di una Commissione Ministeriale per gli
esami di stato in un liceo, scontando le minacce della mafia; il linguaggio,
atteggiamenti, corruzione mafiosa di colleghi siciliani non mafiosi. E’
inevitabile: chi convive con lo zoppo…!, come gli antichi romani che,
commerciando, “cotidie”, con gli schiavi, si resero disponibili, si
rassegnarono a farsi schiavizzare dai “barbari”), un Medico del “pronto
soccorso” dell’Ospedale “Vittorio Emanuele”, Rosario Puleo, è stato picchiato
in reparto, mentre visitava una donna, da cinque energumeni, ai quali, per
deontologia professionale, s’era rifiutato di fornire l’identità di una
ragazza, ore prima medicata, per essersi scontrata, alla guida del suo motorino,
con l’auto del capo branco, responsabile della violenza, oltraggio, lesioni al medico, pubblico ufficiale, della
interruzione di pubblico servizio. Data la pericolosità sociale dei cinque
energumeni, pregiudicati, il Dottore Puleo, fu consigliato (la Prego, sig. presidente, di
Riservare alla mia Denuncia tutta l’Importanza che Meriterebbe da parte sua,
essendo lei il primo magistrato della repubblica) dalla polizia, siccome i
“media” televisivi, cartacei, hanno raccontato, di mettersi in fuga con la sua
Famiglia da catania per una località segreta. E bravi i cosiddetti “tutori
dell’ordine”, i “membri”(nell’accezione più triviale) delle forze (???) di
polizia, invece di Ripristinare l’ ”Ordine del Diritto” di un Cittadino Onesto,
Impegnato nel suo Lavoro, Compito di Salvaguardia della Salute del Prossimo,
alla sua Sicurezza “domi atque in publico”, Gli consigliano l’esilio, lontano
da ogni cosa diletta più caramente, incapaci, pigri nel rintuzzare la
proditoria, pervicace arroganza dei malavitosi. Così la vittima, suo malgrado,
costretta a nascondersi e gli aguzzini, tra la folla, a ricevere pacche sulle
spalle, per essersi fatti beffe delle regole del Vivere Civile, della Legge
“tout court”.
Sig. presidente della repubblica,
ricorre in questi giorni il centenario della nascita di aldo moro e via alle
celebrazioni di colui che, prima del sequestro e dell’ ovvio, inevitabile, “necessario”
assassinio, era considerato dalla cupola
(dal volto presentabile e dal risvolto impresentabile, mafioso) politica,
finanziaria, militare italiettina e internazionale; dalla stampa, da essa
foraggiata, che plasmava l’immaginario collettivo, un politico abile,
calcolatore, astuto, buon mediatore, tenutario nei cassetti di problemi, la cui
soluzione non trovava eccessivi consensi, e niente altro di trascendentale. Durante
i 55 giorni del sequestro, moro ottenne dal vertice magmatico bifronte, di cui
sopra, la greca di “grande statista”, della quale, però, secondo esso, s’era
reso indegno ché, tra le mani degli aguzzini delle “br”, mostrando un’ ”anima
di coniglio”, aveva perso il “senso dello stato”, se scriveva lettere agli
inquilini del ”palazzo”, agli “amici” di partito (s’appellavano “amici” i
democattolici, come i mafiosi, con cui moltissimi di loro erano nello “status” di “culo e camicia”),
raccomandando loro di intavolare trattative con le br”, per avere salva la
vita. Solo un antieroe, un pusillanime, non il grande statista, che moro era
stato, aveva potuto scrivere quelle lettere, che grondavano sudore di paura, di
disperazione per una salvezza non più sperata, via via che i giorni scorrevano
nella ”prigione del popolo”. Infatti, come ultimo tentativo per smuovere coloro
che avrebbero potuto, se avessero voluto, moro minacciò di riversare nelle
orecchie dei “bierrini” i segreti di “stato” e internazionali, dei quali era a
conoscenza, essendo stato 5 volte presidente del consiglio dei ministri e più
volte ministro e proclamò per missiva: “nelle mie condizioni non escludo di
parlare”. Era un modo tutto moroteo, per nunciare a destra e a manca che aveva
già parlato. “Post mortem”, Moro ritornò ad essere, su suggerimento di coloro
che avevano ideato e, poi, composto e,
poi, rappresentato col sangue il dramma, intitolato “il caso moro”, un “grande
statista” e santo. Infatti il viatico per la sua santificazione è già iniziato.
Ma moro non fu grande statista e tanto meno santo. Non fu nemmeno un grande
cristiano, semmai, fu un grande democattolico fino alla fine, coerentemente.
Quando si fabbricano miti, Dicevo a un mio Amico, non Si Forgiano Uomini: con
essi si altera la Veritàche, spesso, non si è liberi di Proferire e di Testimoniare, soprattutto, alle
nuove generazioni. Ora Aggiungo, sig, presidente della repubblica, che quando
si celebrano i miti, non si parla di uomini. E moro fu un uomo con qualche
ombra! Intanto, sia nel suo feudo pugliese, che a roma, non si circondò di
collaboratori di specchiato Studio Civile, Politico. Se si vanno a scorrere i
nomi dei pugliesi che qualche beneficio, diciamo, ottennero dallo stare,
docili, serventi, sotto la chioccia di moro fino alla sua morte, non possiamo
non concludere che il “mito” poco si curò di Coltivare una Classe Politica che
Sapesse, in Piena Autonomia, Far Germogliare un Seme di Profondo Rinnovamento Culturale, cioè di Nuova Visione del
Mondo, di un Nuovo Modo di Gestire il presente, come Progetto Gettato nel
futuro; seme che, peraltro, egli non s’era, giammai, peritato di far fecondare
tra le petraie della sua terra. Una massa di piccoli uomini, come clienti alla
mangiatoia del “pater familias”. Sì, ché moro, anche, nella lettere sue dal
carcere, era molto preoccupato, non tanto della sua famiglia anagrafica, ma di
quella sterminata democattolica famiglia che, certamente, come è avvenuto,
sarebbe stata costretta alla diaspora, se ad essa fosse venuta meno la sua capacità,
non di sintesi, come s’è soliti, coralmente, affermare, sebbene di tenere
giustapposti, con la prospettiva di ghermire qualche sesterzo, qualche appalto,
qualche scranno istituzionale, importante o meno, qualche presidenza degli
innumeri enti inutili, di cui era negli anni morotei infestata la”tiella”
politica italiettina, appetiti, ambizioni diverse, in quanto nessuna Fede,
Ideologia Fungeva da Collante, Sublimava
l’Approccio all’Impegno Politico dei
moltissimi, che da moro speravano una qualche mercede per i voti elettorali che
gli procuravano e che lo facevano diventare il “deus ex machina” degli
italici destini. A dire il vero, se i
democattolici non risplendevano di Coscienza Etica, non è che gli “affiliati”
(a napoli direbbero: capisc a me!) ad altri partiti Ne fossero ricchi e, se
cattivo sangue non mente, non è che dei figli, dei nepoti, dei pronepoti di
costoro l’italietta possa andare fiera. L’unità d’italia, e – grege presidente,
fu posta su un piano inclinato che ha riversato in un pozzo, dal fondo, mai
intravisto, mascalzoni, assassini, ladroni istituzionali, a ciclo continuo, e
non c’è speme alcuna che codesto infame travaso possa interrompersi. Renzi e
gran parte del suo giglio magico sono giovani, eppure, quale novità essi hanno
portato nella gestione della cosa pubblica ? Il ronzio della tracotanza
tribunizia! Inoltre, Giorgio Bocca, in un Articolo, Apparso su “Repubblica” il
16-11-1985, dal Titolo: ”Sereno Freato Fattore Infedele”, Si Chiedeva perché
freato, strettissimo collaboratore di moro, fosse un “fattore” e perché
“infedele”? E, così, Si Rispondeva: ”…esattamente da 25 anni, diciamo una vita,
dura la stretta fiduciosa sodalità tra Moro e Freato. In questi 25 anni, Aldo
Moro, uomo di grande intelligenza, educato al pessimismo cattolico sulle umane
debolezze, uomo di governo che poteva disporre delle informazioni segrete ed
accurate, non si accorge che Sereno Freato fosse, come dice, incautamente il
“Popolo”, un ‘fattore infedele’. Ma noi preferiamo stare in Italia, anzi nel
Chianti, dove il signor Freato possiede alcune bellissime tenute. Perché
chiamarlo fattore ? Si vuole insinuare che le amministra per conto terzi ?…
Sono decenni che questo mondo politico intasca le benefiche sottoscrizioni dei
cugini salvo, dei banchieri Sindona e Calvi, della Loockeed, degli emiri arabi,
dei petrolieri alla Muselli e di altri “fattori infedeli”, accorgendosi della
loro infedeltà solo quando hanno le manette ai polsi”. Sig. presidente della
repubblica italiana, un episodio strano voglio porre alla sua attenzione ché lei da esso tragga la Logica Deduzione, Inferenza:
1976: alla stazione termini moro è già salito sul treno roma – monaco per
raggiungere la sua famiglia a predazzo. Il treno doveva partire alle 20,05,
alle 20,03 moro viene fatto dalla polizia, immediatamente, scendere dal treno.
Il treno è l’ ”italicus” che salterà in aria nella galleria di san benedetto
val di sambro. La polvere pirica per la strage dell’”italicus” è la medesima
usata per piazza fontana, banca nazionale dell’agricoltura, piazza della loggia,
stazione di bologna. La polvere pirica,”c4”, era a disposizione di una
struttura internazionale, che si chiamava “gladio”, della quale il meno che si
possa dire è che dell’esistenza di essa era a conoscenza la presidenza del
consiglio dei ministri. Le devo ripetere che moro fu per 5 volte presidente del
consiglio dei ministri ? Le ripeto, di ”contra”, che a napoli, abitualmente, si
dice: ”capisc a me”! Sig. presidente della repubblica, ha mai sentito parlare
del “doppio livello o anello”? Lo schema era e, forse, è, ancora, quello tipico delle “covert operation” che
solo particolari strutture capaci di coniugare l’”intelligence” e la formazione
militare di corpi d’”elites” potessero concepire e mettere a punto: dietro un gruppo
si muoveva un’altra unità, un nucleo, che in forma discreta e nell’ombra,
avrebbe garantito il successo dell’operazione. Così è stato da portella delle
ginestre al caso moro! Che fu una cloaca
in cui facevano bella mostra per motivi e interessi diversi la “cia”, il “kgb”,
il “mossad”, lo ”ior” di mons.marcinkus che, molto probabilmente, mise a disposizione
dei brigatisti alcuni appartamenti, muniti della ”extraterritorialità”, di proprietà della banca vaticana, situati in
una via vicina a via “fani”, la strada dell’agguato a moro, la massoneria
vaticana, maggioritaria in curia, la p2. Cossiga, ministro dell’interno, in una
intervista confessò che, nei 55 giorni del sequestro e dell’agonia di moro,
egli poté solo ratificare iniziative e decisioni prese dai rappresentanti delle
“consorterie” che, poco sopra, ho elencato; che a capo di esse v’era un certo
steve pieczenik, mandato dall’amministrazione americana di carter. Tale messo,
in seguito, più volte ribadì che la sua missione non era quella di salvare
moro, bensì quella di stabilizzare la situazione italiana nell’ambito
dell’alleanza occidentale, incompatibile con il pci, ormai, aggregato al
governo, sia pure, come stampella ad esso esterna, anche se ciò richiedeva il sacrificio di moro. “Delitto di
abbandono”, Definì Carlo Bo la morte di moro: fu abbandonato da tutti! Lei,
signor presidente della repubblica, dov’era? Era per la fermezza o per la
trattativa o per invitare le br” a rilasciare il prigioniero “senza
condizioni”, come si espresse il papa paolo VI ? Era, in quel frangente,
incondizionatamente, per la professione di fede nei confronti della “legge di creonte”
che lo avrebbe condannato o, mosso dalla
Misericordia (dalla quale la più parte dei democattolici, ognora, con le mani
sporche di sangue immerse nell’acqua santa, si astennero dal farsi scuotere),
per la “Legge di Antigone” che avrebbe potuto salvargli la vita ? Sig. presidente
della repubblica, in questi giorni ho Letto una Bellissima Poesia di Kriton
Athanasulis, Dedicata al Figlio, dal titolo “Ti lascio…”: “…. Il mondo è
povero/ oggi. S’è tanto insanguinato questo mondo / ed è rimasto povero.
Diventa ricco /tu guadagnando l’amore del mondo…”. Cosa ci ha lasciato moro?
Ecco Marcello Veneziani, del quale, pur non condividendo moltissime sue
esternazioni politiche, non posso fare a meno di trascrivere un brano di un suo
Articolo su moro; ”…in lui il senso dello Stato e ancor più della Nazione fu sempre
subordinato al senso del Partito e del potere democristiano. La sue esperienze
di governo non furono molto significative per l’Italia, non si ricordano grandi
riforme e grandi opere legate al suo nome. Di lui si ricordano i teoremi, i
funambolismi e le fumosità lessicali legate al suo nome, sferzate anche da
Pasolini e Sciascia”. Insomma, ci ha lasciato, specialmente a noi meridionali,
le “convergenze parallele”!