Caro Marco,
con il Fascicolo di Dicembre di
”Ogni giorno è storia di Bitonto” hai Condotto, con la tua Avvincente, Libera,
Icastica, a volte, Umoristica Scrittura, i tuoi Lettori alla fine di un
ipotetico o teorico anno solare in cui sono contenuti i fatti e i misfatti
operati da una comunità, quella bitontina, ”dal sorgere dell’anno mille” fino
alla nostra immediata contemporaneità in ciascun giorno di ciascun mese dei
millenni, dei secoli trascorsi.
Dicevo qualche giorno fa ad un Amico che non
dobbiamo confondere il Dolore con la sofferenza, che appartiene alla nostra
fisicità frale, su cui, sempre, incombe l’alea della malattia, della fisica
degenerazione patologica, non rare volte, causata dai guasti, da addebitare
alla irresponsabilità dell’uomo, inferti
all’equilibrio ecologico della Natura o dall’ ”homo lupus homini” da “man a r
nannasc”, cioè, come ”quoque Tu” sai, essendo Cultore della Lingua bitontina,
da tempi immemorabili. Il Dolore Appartiene al “foro interiore”, non di tutti,
non delle masse, non di coloro che respirano il “fiato” del coro, ma degli
Uomini e delle Donne che Lo Trasformano in Poesia, ché è Essa Misura,
Razionalità, Espressione di un Bagaglio Culturale Dissolto in Discreto, Tenero,
Riservato, non dirompente, non appariscente, non esteriore Magistero Rivolto,
utilmente, a Coloro Cui la vita non è, non è stata seconda.
Ai miei Discepoli
Proponevo come Speculare del Dolore “Il
Commiato tra Ettore e Andromaca” nell’ ”Iliade” di Omero; come speculare, di
contro, della più volgare scenografia il distacco, che ci viene ammannito,
carico di urla, di strepiti, di non estetica gestualità, in alcune stazioni del
nostro meridione tra mariti e mogli, tra padri e figli: tutto in toni, modi
insinceri sopra le righe, che non si collegano con la Profondità del Sentire.
Caro Marco, quell’… (nei tuoi Scritti, ognora, Ricorrono i tuoi Eloquenti
puntini di sospensione) Anna, di cui Parli a pag. 5 del tuo Ultimo Fascicolo di
Storia bitontina, che il 2 dicembre del 1943 Vide, “da ‘na seppènne’ di Ruvo di Puglia, le fiamme scatenate dal
bombardamento della Luftwaffe sul naviglio alleato ammassato strategicamente
nel porto di Bari, cioè in Bari!…”, è TUA MOGLIE, che non E’ più tra noi con
il suo “Leib”, con il suo Corpo Segnato da 54 anni accanto a Te, Madre dei tuoi
Figli, Maestra, come Te, di tante Generazioni di Discepoli, ai Quali ha
Riservato il suo Straordinario Studio per la “Paideia”. Non sopra le righe, ma
tra le righe, hai a LEI Dedicato la tua Ricerca Storica nella sua Complessa
Interezza, come un Ineguagliabile, Sussurrato, Schivo Atto d’Amore. Per tornare
alla Storia di bitonto, a pag. 2 ci Ricordi che, anche, bitonto (d’altronde, se
il presente è generato, non creato, dalle modalità perverse con cui l’uomo s’è
dato, s’è comportato nel passato, non possiamo, non dobbiamo meravigliarci)
nello scorrere dei secoli e degli anni ha lamentato il prostituirsi di servi
alla voracità di regnanti, di feudatari, di, democraticamente, eletti dalla
inconsapevole plebaglia, sicché sarà stata una deplorevole dimenticanza,
amnesia che le averle, sinistre “celicole” affamate, siano rimaste nello stemma di bitonto a
simboleggiare l’avarizia, la rapacità dei suoi reggitori “d’antan” fino al
nostro vissuto.
Dal tuo preciso Racconto Apprendiamo che i bitontini in alcune
congiunture temporali dovettero accontentarsi o scegliere del/il meno peggio:
tra l’insaziabile andrea matteo (come mai, caro Marco, i matteo della storia
criminale, e i matteini della nostra cronaca nazionale non somigliano affatto
al Matteo dei Vangeli?) acquaviva che a
pag. 25 Definisci: ”…la sintesi peggiore del sovrano d’importazione con tabelle
’esattoriali incorporate!” e “quel
Ferdinando I d’aragona che aveva reso Bitonto città demaniale”. Nella medesima
pagina, testé Citata, Impeccabile è l’Associazione, che Produci,
tra le averle dimenticate nello stemma di bitonto e l’avventarsi di un’ondata
di averle, in una mattina dell’autunno 1963, sui sacri oliveti a bellaveduta,
nella frazione di mariotto, con implacabile scempio di olive. A dire il vero
,”en passant”, caro Marco, noi umani siamo, forse, meno miserabili delle averle?
Non è, forse, l’Ulivo, oltre “ad pacem promptum”, la pianta cara e tutelata dall’
”Unesco”?
Eppure, tra un impianto benzinaro, la speculazione edilizia galoppante,
a far data di qualche decennio, bitonto sarà spogliata della sua pianta per la
quale è famosa in tutto il mondo, e scomparirà il verde mareggiante, che da
sopra “a na seppènne” della mia magione si vedeva degradante alla marina di
santo spirito. Come tutti i Veri Maestri da quella insolita incursione di tanta
quantità di averle, capace di oscurare il cielo, Traesti lo Spunto per Organizzare
una Lezione, non Insolita nel tuo Metodo di Insegnamento, di Storia patria
nella quale avesti la Sturadi “decodificare i simboli di uno
stemma” che nell’averla dimenticata rimembrava le ”vessazioni d’un feudatario
ingordo e sempre in vena di rapine”. Mia madre avrebbe querimoniato: “A da vdej, nan dic mancament d chir d mou!
(Coloro che, attualmente, siedono sugli scranni di governo e amministrativi non
sono da meno, in quanto a corruzione, malaffare, degli antichi)”.
Pure nell’Ultimo Fascicolo della tua Ricerca Storica non mancano nella tua Scrittura
Spunti di Arguto, Intelligente, Sottile Umorismo. L’Umorismo va distinto dalla
Comicità, che è la miccia per l’esplosione, quasi petardo al cielo, di un
ridere fragoroso, sonoro, a volte, in segno di scherno, di derisione nei
confronti di una o più “persone”, dai
comportamenti, atteggiamenti non
rientranti nei canoni della normalità; situazioni, avvenimenti sociali di
eccezionale accadere possono indurre ad un ghigno prolungato.
Ma la comicità,
oltre alla reazione di una risata cieca, meccanica, indifferente all’oggetto, a
ciò che ci sta di fronte, che muove da esso, non sortisce altri effetti;
produce, solamente, un consumo di grugniti. L’Umorismo è, invece, l’ineffabile
luminello che determina, secondo Pirandello, l’esplosione della Riflessione
“nel cuore stesso della creazione” e, allora, ad onta di situazioni non in
consonanza con la cadenza regolare, usuale, ordinaria dei fatti, dei rapporti
sociali, dell’apparire degli individui, siamo, quasi, costretti dal
Raccoglimento Meditativo ad Immergerci, Empaticamente, in ciò che ci appare
strano, ché straniero al nostro abitare il mondo e Comprendiamo che, al di là
di esso, al di là della nostra stantia tinozza, c’è tanta Realtà, da noi
ignorata. Col risultato che si può Amare di più o si può essere più Disponibili
allo Sdegno e, pertanto, più Motivati ad Adoprarci, per quanto in noi sia
possibile, ché il nostro orizzonte mondano sia mondato di ciò che allo Sdegno
ci induce.
A pag. 4 Presenti,
finalmente, un Uomo che, pur essendo un bitontino e, in aggiunta, un
carmelitano, aveva tutti i requisiti per Meritare la mia non facile
Ammirazione. Questi era padre Francesco
Saverio Lezoche di Animo e di Intelligenza Democratica. Pur, così politicamente
strutturato, ebbe l’incarico dal vescovo vincenzo manieri di commemorare nella
cattedrale bitontina il re delle “due sicilie” ferdinando I, detto il “re
lazzarone”, morto il 4 gennaio 1825. Padre Lezoche s’era Distinto nel
Diffondere per la puglia “dichiarazioni a favore della libertà dei popoli e della
abolizione di qualsiasi forma di tirannia”e, nonostante, le sue Idee Libertarie
era stato, sostanzialmente, tiranneggiato dal suo vescovo a commemorare un
tiranno. Allora, Padre Vincenzo, non potendo infierire sul re tiranno, comunque,
da commemorare, secondo il ”diktat” del suo vescovo, “escogitò saggiamente una benemerenza”
da appioppare a ferdinando, per colpire, secondo Me, sotto mentite spoglie,
l’albagia tirannica del suo ordinario diocesano e del titolare (???) della
cattedra di san pietro in roma: ”l’essersi il re…rifiutato di versare una
‘chinea’, cioè una tassa che un re cattolico doveva versare al papa (all’epoca,
nell’ordine Pio VII e poi Leone XII) !” Puoi negare, caro Marco, che quel Punto
Esclamativo non sia, Umoristicamente, Eloquente? E che non sia una tua
Impareggiabile Lezione di Scrittura Umoristica la Postilla in calce al tuo
Insistere sull’imbarazzante iato, in cui venne a trovarsi il Lezoche, tra la
sua Professione, “coram populo”, di Idee
Democratiche, insolita, a quei tempi, per una religioso e la figura meschina
del re da commemorare?
”Padre Lezoche – Chiarisci – manifestò profetismo e
coraggio in quella omelia. E, a quanto pare, si giocò la nomina a Vescovo” . E
non è Originata dalla tua Fondamentale Umoristica Interiorità la tua fresca,
reiterata Ammissione di essere stato al primo anno della Scuola Magistrale
Bocciato ? In Verità, Ti Confesso che anch’Io fui Bocciato al primo Liceo Classico! Bisognerebbe, alla Stregua
dell’ ”Elogio della Follia” di Erasmo, Comporre l’ ”Elogio della Bocciatura”
se, quando da Essa, per Essa, a causa di Essa Si Diventi Marco Vacca o, senza
falsa modestia, Gaetano Avena!
Infine, non si può “silenziare” il tuo ignorare
nel giugno del ’58, addirittura, Giovanni Modugno, a causa del quale molto rischiasti
in un momento importante della tua Vita e la Rivelazione di tanta
“sconoscenza” è Sviluppata da Te, ancora, in Salsa Umoristica. Infatti, a pag 24 veniamo a sapere che in occasione degli orali
del tuo concorso magistrale, dopo avere Tu Disquisito sul Classico Pedagogico
di Maritain ”L’Educazione al Bivio”, il commissario esaminatore ”forse avendo
notato dov’ero nato, mi chiese di parlargli di Giovanni Modugno. Che io, all’epoca
(nel giugno del ’58 non conoscevo)!” Così: ”…per colpa di Giovanni Modugno ebbi
appena 30 all’orale”. In ogni caso,
superasti il concorso grazie al massimo dei voti, 41, che conquistasti allo
scritto. A pag. 31 Citi un Pensiero di Raffaele la Capria: ”La visione del
mondo ci viene attraverso un luogo”. Se a “luogo” Sostituiamo: ”a pochi passi
da quella Porta su cui ‘sarebbe’ apparsa la protettrice di Bitonto” o ”La salma
di Federico II, Crociato deludente per il Papa”, non per la Critica Storica,
Mi Pare che Tu voglia Proclamare, Dissodiamo dalla tua Scrittura la Solare tua Religiosità
Laica: è un ossimoro, figura retorica che giustappone termini, apparentemente,
antitetici, inconciliabili. Religiosità, quindi, la tua, non integralista,
fondamentalista alla socci, non, dogmaticamente, cattolica, sebbene,
Problematicamente, Cristiana.
A pag. 24 Risuona un Interrogativo che Facesti
Tuo, che fu di Jacques Maritain, di
Giovanni Modugno, di Giuseppe Caiati, di
Ottavio Leccese, di Domenico Saracino: “Cattolici, siamo Cristiani?”. Dal tuo
Evidente Problematicismo si Evince che la tua Risposta è: ”NO”. Il
cattolicesimo non è sinonimo di Cristianesimo; il cattolicesimo è stato potere,
anche, criminale, sodale, in nome di Dio, per la gloria di Dio, di despoti di
inaudita crudeltà, ferocia; è, ancora, potere che alligna, senza la trasparenza
dei suoi atti, in palazzi principeschi; il Cristianesimo è il Fiore che
Germoglia dov’è il Fango, il Peccato, il Degrado, perché non è il simbolo di
cesare, ma della Croce Innalzata da una Infinità di Diseredati sulla umanità
che ha smarrito la Possibilitàdi salvarsi, avendo, di fatto, rinunciato ad Aggrapparsi ad Essa. Caro Marco,
nell’intera tua Fatica Storica agiscono regnanti, tiranni principi, feudatari,
vescovi, consacrati, Eccellenti Umane Singolarità di Buona Volontà, o proterve
di cattiva volontà, ma non ho, mai, Percepito lo Sfondo Sociale, il Contesto Sociale,
da cui esse sono emerse.
M’è parso vederle agire nel vuoto, in solitudine, senza
un “objet” verso il quale teleologizzare la loro azione nel Bene e nel male.
Una Bene Astratto, direi, Metafisico, senza Connotazioni, senza il Nome del Prossimo; il male assoluto, il male
per il male. Nei millenni, che hai, da Par Tuo Analizzato, Considerato non ho Intravisto
il popolo bitontino. Dov’era, dov’è, dove sarà ? Non una Comunità Umana che, Montalianamente,
Tornata all’Origine della Vita, Ariosamente, Libera da tutte le croste di
annose sovrastrutture pseudoculturali, Mi Comunicasse: “Codesto solo oggi
possiamo dirti, /ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.