Essere calciatore come lo è stato Mariolino Licinio, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, significa aver attraversato il mondo del pallone seguendo i dettami dell’etica e della lindura interiore.
Centrocampista mai banale e dal piede euclideo, era il punto di riferimento per tutti coloro che gli giocavano accanto. In lui, il senso della geometria giammai era disgiunto dall’equanimità.
Peraltro, mentre calcava i campi con la casacca neroverde di quel Bitonto glorioso che il mondo (dei dilettanti) tremare faceva, già studiava da maestro, termine sublime oggi iniquamente soppiantato dall’anglosassone mister.Dettaglio da rimarcare: nell’impegno agonistico sapeva cogliere sempre il tutt’altro che trascurabile portato pedagogico.
Infatti, prima condusse quei leoni –tra i quali c’erano davvero tanti concittadini: Sblendorio, Perrini, Di Mundo, De Michele, Labianca tra questi – in IV serie, che era davvero il quarto campionato dello Stivale, e poi divenne allenatore di gran vaglia, anche se non sempre accompagnato dalla buonasorte, specie quando sedeva sulla panca della squadra del suo borgo natio.
Finché una brutta malattia non l’ha rapito anzitempo ai suoi cari e agliamici. Che non lo hanno affatto dimenticato. Anzi, sanno benissimo che mantenere viva la fiamma della sua memoria ha ancora ungrande significato morale.
Così, a dieci anni dalla sua scomparsa, martedì 20 dicembre 2016, presso la parrocchia del Crocifisso, don Vincenzo Cozzella celebrerà una cerimonia religiosa in ricordo proprio di Mariolino, al quale nei mesi scorsi hanno intitolato una struttura sportiva in via Togliatti, su iniziativa del giornalista e fiduciario Coni Nicola Lavacca.
Quasi certamente, alla messa, saranno presenti numerosi compagni di squadra – convocati dagli eterni Tonino Sblendorio, Alberto Perrini e Leonardo Delvino – e tutti quei tifosi che lo ammirarono.
Sarà l’occasione preziosa per navigare in un maredi nostalgia e per dare pure un segnale di grande solidarietà a chi, magari, in questo momento sta vivendo un periodo non facile.
Perché, in fondo, il pallone, se declinato secondo nobili valori, ha sempre forma di cuore.