Nella nostra città nessuna
lista civica ha preso posizione nel dibattito che ha monopolizzato il panorama
politico nazionale degli ultimi mesi: la
Riforma Costituzionale.
Basterebbe questo per liquidare il civismo
bitontino e consegnarlo ad una dimensione limitatamente provinciale, incapace
di muoversi sincronicamente, almeno attraverso una rete di liste civiche
cittadine, per esprimere una posizione uniforme su questioni di importanza nazionale.
Perché fra tutte le riforme che potevano essere attuate, quella a cui siamo
chiamati a votare domenica prossima interessa molto le realtà politiche locali,
vista la possibilità che, nel caso passasse, ci sarebbero dei sindaci che
svolgerebbero anche il lavoro di senatori. Nonostante ciò, le liste civiche bitontine,
con la meritoria eccezione di Città
Democratica che, pur non avendo espresso una preferenza, ha organizzato una
due-giorni in cui sono state spiegate le ragioni del sì e del no, si sono
trincerate in un silenzio assordante.
Se il sindaco Michele Abbaticchio ha più volte
ribadito i tentativi messi in campo per sostenere il civismo e portarlo ad una
dimensione sovracomunale, l’ambiguità o
il totale disinteresse delle liste civiche sono di fatto un fallimento in questo senso. O
perlomeno evidenziano una fragilità
intrinseca delle liste bitontine, almeno per come questo fenomeno politico
si è declinato nella nostra città. Perché il fenomeno del civismo ha costituito
una risposta efficace alla deriva e all’impopolarità dei partiti di massa
tradizionali, incapaci di rifarsi una verginità politica in seguito agli
scandali in cui rimangono perennemente invischiati dagli anni ’90 a questa
parte. Ed è un modo di fare politica che, almeno a livello locale, elettoralmente
paga molto. Le liste civiche sono percepite come un qualcosa di nuovo, puro e
libero da ogni legame con i partiti tradizionali. Di fronte a questa
consultazione referendaria hanno fallito. Per una volta, i partiti tradizionali
hanno saputo esprimere una posizione chiara, le liste
civiche no.
E le motivazioni
potrebbero essere svariate. Innanzitutto, il totale disinteresse per la questione referendaria. Siamo a dicembre
e fra qualche mese si vota nella
nostra città. Assumere una posizione nel dibattito referendario potrebbe alienare le simpatie di alcuni elettori,
visto che le liste civiche pescano qua e là. Abbiamo ascoltato per esempio un
consigliere comunale di maggioranza, il quale ha espresso la propria
preferenza, sottolineando come essa fosse strettamente personale e non
pretendesse di essere la posizione dell’intera lista civica di riferimento.
Questo perché, ci ha detto, «nella nostra
lista convivono anime differenti».
In aggiunta, l’inerzia
delle liste civiche sulla questione referendaria viene spiegata semplicemente
osservando le meccaniche della politica locale. Che, avvicinandosi le
amministrative, è tutta presa in rifacimenti e disfacimenti, in cui vecchie
liste liquefano a fronte di altre che nascono.
In un contesto tale, dove
volatilità politica e trasformazioni delle compagini civiche sono a livelli
altissimi, i partiti tradizionali (col Movimento Cinque Stelle) locali paradossalmente si prendono una
rivincita. A prescindere dalla loro posizione sulla riforma, nel bene o nel
male, rimangono gli unici punti di
riferimento per i cittadini in vista del referendum. A fronte delle liste civiche, che si sono dimostrate sostanza amorfa, politicamente assenti.