Una grande
storia ha Bitonto con i suoi ulivi. Posta in un mare grigioverde, le piante
arborate, dai rami penduli erano, sino a qualche decennio addietro, circa
1.500.000. A parte le leggende relative alla fondazione di Bitonto, designata
da storici e letterati come città degli
ulivi, la documentazione archeologica e le fonti letterarie attestano la
peculiarità della urbs olivarum sin dal IV-III sec. a. C.. In età romana (se
ben si interpretano gli epigrammi di Marziale e le citazioni dei gromatici veteres) l’olio di Bitonto era
ben conosciuto nei mercati internazionali.
Nel Medioevo,
assunta a livello internazionale si riscontra una tipica unità di misura: Starem
olei Botonti. Con tale misura (una volta l’anno) sin dal 1084 l’obolo
di S. Pietro alla Sede Apostolica in Roma veniva donato da vescovi e prelati del
Mezzogiorno d’Italia. (v. F. CARABELLESE, Della
storia di Puglia…, in « Terra di
Bari », Trani 1900, I, p. 85, 3). Alcuni emblemi araldici risalenti al sec.
XIII recano il motto latino attribuito all’imperatore Federico II: “Ad
pacem promptum designat oliva Botontum” (“L’oliva designa Bitonto
pronta alla pace”).
Nel corso dei
secoli amalfitani, ravellesi e sorrentini (Bove, Rogadeo, Fenice, Rufolo,
Labini) si traferirono dalla costiera tirrenica nei contadi di Bitonto e
Giovinazzo dando impulso alla produzione e al commercio dell’oro di Puglia con
fondachi di veneti, fiorenti e lombardi (Medici, Bragadin, Bembo).
Nel XVIII secolo
nel suburbio e nel territorio vi erano circa trecento maestosi frantoi di cui
sopravvivono attualmente alcune decine abbandonati e adattati ad usi
differenti. Uno di questi era ubicato nella scarpata del Torrione di Porta
Baresana. Tale frantoio ormai in disuso venne concesso per otto anni al
francese Pierre Ravanas (1796-1870) che nel 1828 qui sperimentò la sua pressa idraulica
aprendo all’olivicoltura l’era della qualità grazie al miglioramento
tecnologico offerto dalle sue apparecchiature e alla nuova modalità di
approvvigionamento di olive da lui iniziata.
Nascosti e ormai
dimenticati tra gli ulivi ricordiamo i seguenti frantoi, vere e proprie
cattedrali della tradizione locale:
– I
frantoi del Feudo Gentile,
sulla provinciale per Santo Spirito;
– Il
frantoio Pezza San Marco,
su via Patierno (fl. di mappa 27), con impianto voltato a botte, coperto da
chianchette, e attigua chiesetta;
– Il
frantoio Patierno,
(fl. di mappa 21-18), sulla strada rurale extraurbana già appartenente a
Rogadeo;
– Il
frantoio Macchia di Bitetto,
(fl. di mappa 21-18), sulla dirittura per Palo del Colle;
– Il
frantoio dei Bassosu Piazza Ferdinando II di Borbone attiguo al cisternone comunale;
– Il
frantoio Portone dei Boveo Bovio sulla via per Giovinazzo.
Non presenti nel
catasto murattiano, tra la Via dei Trappeti (attualmente intitolata al
matematico Vitale Giordano) e la strada per Giovinazzo – Molfetta si contano
ancora ben 70 di questi impianti. Uno di questi meravigliosi complessi ha
funzionato sino a tutti gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, e in ricorda il Cinema Galleria della nostra giovinezza.
Sarebbe
opportuno pensare ad un intervento mirato al recupero di tali manufatti
nell’ottica di un recupero sostenibile del territorio al fine dei renderli
fruibili all’intera comunità.
Foto di Pasquale Fallacara