“Il futuro è in quella luce” (Luce)
Sabato scorso si è tenuta presso il Torrione la presentazione della silloge di poesie “Tavolozza d’autunno” di Nicola Ventafridda.
Ha aperto la serata Oronzo Maggio illustrando la figura di Nicola Ventafridda quale Poeta i cui versi si intrecciano pienamente con la vita rimembrando la compianta Teresa, amore immenso e sempre presente.
L’autunno, dice Oronzo, è una stagione di transizione da uno stato di bruma a uno di luce più consapevole, la sintesi dell’unione con Dio e con l’amata che indica una direzione da seguire perché il taccuino di viaggio sia la terra promessa da raggiungere, terra di diafana bellezza.
Ha preso poi la parola la Prof.ssa Angela Aniello che ha scritto la prefazione al medesimo libro partendo da una frase di Gibran che termina così: “Ma quali che siano i modi, lo scopo delle peregrinazioni di tutti i semi è identico: arrivare a levarsi innanzi al volto del sole”.
Tale, infatti, si profila l’orizzonte dei versi di Nicola Ventafridda, in cui seguendo il filo rosso della memoria e del cuore come anche il filo d’Arianna, simbolo di una speranza cui aggrapparsi sempre, mentre il vento morde nel labirinto della quotidianità insieme al silenzio e all’afa, il grido di pena dell’uomo è alla ricerca di una verticalità che liberi le ali legate alla selce delle città e sprigioni stupore nell’alfabeto dei cieli aperti.
Nella sospensione in una dimensione senza spazio e senza tempo il proscenio dell’anima si arricchisce di faville e cattura sogni lontani in una tavolozza d’autunno che mescola colori, odori, liquidità marine, linguaggi silenti e ricercati indugiando sui segni della storia individuale e dell’umanità tutta.
“Delenda Carthago”, urlava Catone, detentore degli antiqui mores, per salvaguardare la grandezza e l’integrità di Roma minacciate dal popolo cartaginese, l’acerrimo nemico da abbattere.
Di contro, nelle mura refrattarie al silenzio e all’oblio il vento si sofferma a tratteggiare ricordi e fattezze dai colori seppiati, che in un gioco perenne di flash back arrotolano l’esistenza in nastri che non fanno rumore fino ad aprire battigie assolate su cui quel che scorre è l’infinito non detto ma percepito intimamente.
A dare un tocco di raffinatezza la sapiente lettura di alcune poesie da parte di Massimo Roncone e Franco Siragusa che hanno interpretato con grande partecipazione i sentimenti e le emozioni ivi racchiuse e il monito del Poeta a spiegare le vele, risalendo la china degli affetti, di tutti gli affetti preziosi e importanti per recuperare le chiavi d’oro di una mitica isola da raggiungere per non essere soli in una deriva di malinconie.
Damiana Riccardi ha aggiunto che quello di Nicola è un cuore che parla ad altri cuori leggendo anche alcuni versi. Come bel sottolinea lei, che ha scritto la recensione alla silloge, la sua poetica appare come una sorta di diario nel quale egli riporta con sincerità d’animo e di fraseggio i passi salienti della sua vita e il quotidiano nel quale il suo animo buono e schivo si rileva con le sue radici, l’amore per la sua terra, la famiglia e il suo piccolo mondo ai quali tutti i suoi versi regalano il senso dell’immenso.
Al termine della serata c’è stata la cerimonia di chiusura della mostra “I Portali dell’Iride” (che è stata esposta al Torrione dal 17 luglio) di Mario Ventafridda, pittore, poeta, entomologo, come lo ha definito lo stesso Oronzo Maggio.
Attraverso la sua pittura Mario cerca l’uomo che non trova nel suo mondo quotidiano e tenta di crearlo con forza istintiva, portandosi indietro nel tempo, alle origini di Adamo, ricavandone una complessa forma geometrica senza carne e senza spirito, un puro graffito.
Altro è la donna che viene da un lontano Oriente, con tutto il suo fascino femminile, fino a rappresentarsi icona di seduzione nel regno di un harem dove la vita è solo pulsione d’amore.
Ma, scomparso l’uomo e scomparsa la donna, le coordinate di tempo e spazio si mostrano inesistenti in una falce che rende nudi i terreni di rigogliosi frutteti. Protagonista, dunque, diviene l’urlo sotteso o squarciato del tempo presente, volto di un uomo che si fa assenza.
“Il volto gira/l’occhio guarda/il seme liberato nel respiro/ sale impalpabile/ a fecondare i canti/ della follia / è un giro di valzer/ il gioco di nubi…”, afferma Mario nella poesia “I Portali dell’Iride” che ha dato il nome alla mostra.
Anche Fiorella Carbone ha evidenziato il pathos che si coglie nella perfezione dei volti: in essi la tensione morale diventa tensione fisica avvinghiata a una lunga notte di silenzi e parole a specchio.
Angela Aniello