Innamorarsi di ciò che si ha e non sempre (o solo) di ciò che è al di là. Con questa intenzione, cui è connesso un viscerale desiderio di riappropriarsi delle proprie origini e di rivalutarle, Andrea Ferrante e Marco Gernone aprono un’inchiesta relativa ai molteplici fattori di contaminazione e di sfruttamento delle risorse del Mezzogiorno: le Trivelle, per cui è stato indetto il referendum che lo scorso 17 aprile ha chiamato ben dieci regioni italiane ad una scelta di coscienza; la TAP (Trans-Adriatic Pipeline), cioè la creazione di un nuovo gasdotto che dalla frontiera greco-turca attraverserà Grecia e Albania per giungere in Italia, nella provincia di Lecce, permettendovi l’afflusso di gas naturale; la Xylella, un batterio che ha provocato il disseccamento di moltissimi ulivi, peculiari dell’ecosistema mediterraneo. Già interessatisi, in precedenti documentari e cortometraggi, a questioni sociali di scottante attualità – basti pensare a “Le piccole cose” o a “Non cresce l’erba” – i registi focalizzano ora la loro attenzione su un elemento distintivo e caratterizzante le terre del Sud: il mare, l’oro blu.
Più che apprezzabile, in un mondo spesso volutamente inerte di fronte ai suoi limiti, è il tentativo di estendere oltre i confini il raggio di risonanza di un problema che ha colpito soprattutto il sud Italia. Prodotto dalla Dinamo Film e sostenuto dall’Apulia Film Commission nell’ambito del progetto Generations, il documentario ha affascinato – con il suo tema e le sue vivide immagini – già diversi tipi di pubblico: è stato selezionato al Roma Cinema Doc, all’Environmental Film Festival in Albania, al XVII Festival Europeo di Lecce, alla XIV edizione dell’Ischia Film Festival e infine premiato come miglior documentario del trimestre primaverile all’Hollywood International Independent Documentary Awards.
I moderatori del secondo appuntamento della rassegna cinematografica dell’Arena Rogadeo, il giornalista Domenico Saracino e la videomaker Giovanna Delvino, hanno chiarito – nell’ambito del confronto con i registi – quale fosse lo spirito di tale impegno artistico. Ferrante e Gernone sono stati in grado di inquadrare una realtà, preesistente al Referendum sulle trivelle, cioè quella dell’estrazione degli idrocarburi in mare entro 12 miglia dalla costa e dell’enorme (oltre che imprevedibile) impatto ambientale da essa provocato. Eppure, a parte la spinosa questione tecnica analizzata, ciò che pare più urgente nel film documentario è piuttosto l’impatto psicologico e il senso di alienazione rispetto a qualcosa che appartiene all’uomo dall’origine dei tempi: la sua terra.
Occorrono, dunque, le “Conversazioni dal mare” fra la giornalista salentina – e voce narrante – Tiziana Colluto, che già da tempo aveva indirizzato le sue ricerche e la sue indagini nell’ambito delle prospezioni petrolifere nei mari del Salento da parte di compagnie straniere, e gli uomini e le donne del posto. Il docufilm si apre proprio con l’immagine dell’anziano Angelico, pescatore di Tricase ormai in pensione, che non rinuncia alle sue gite in barca e soprattutto non rinuncia al suo rapporto – quasi privato – con il mare, una volta fonte di lavoro e principale “responsabile” della grande bellezza del territorio pugliese. Simile, per certi versi, ma assai più malinconica e nostalgica la testimonianza di sua moglie, che mette in luce la capacità intrinseca del mare di mettere in comunicazione tutte le cose e perciò di rendere più intensi i rapporti fra gli uomini: fratelli di fronte alle avversità, alleati – spesso impotenti – di fronte ai rischi legati al territorio.
Ciò che sorprende, nella polifonia di voci, è che siano tutte accomunate dalla consapevolezza di una convinta diversità fra “loro”, gli uomini che provengono dal mare, e gli “altri” che vi sono nati e cresciuti lontani. È chiaro: non si tratta di evidenziare la solita (ovvia) lontananza fra nord e sud, né di effettuarne una dettagliata disamina delle caratteristiche topografiche, ma di verificare come in qualche modo queste incidano sull’antropologia e mutino il modo di vivere di un popolo. <<Chi vive al mare non può che essere aperto all’incontro con l’altro. È diverso da chi vive in montagna o in città. Può essere umanamente invidioso del pescato del giorno di qualche altro, ma se quell’altro si trova in pericolo …ecco, diventa un fratello. Ci si aiuta senza riserve. Anche senza legami di parentela, qui si vive come se tutti facessimo parte di un’unica grande famiglia>>, così continua la moglie di Angelico.
Ed ora che questo meraviglioso oro blu, tessuto connettivo di popoli vivaci ed espansivi, è minacciato e inquinato dai grandi colossi stranieri ed è divenuto – a livello politico – quasi merce di scambio per interessi economici, viene spontaneo chiedersi: <<…non senti che ti stiano togliendo qualcosa?>>. La sensazione è quella di sentirsi defraudati di una risorsa che ci appartiene, dell’intimità costruita con la propria terra, del rapporto ancestrale con le proprie origini, della Bellezza. A questo bisogna opporre resistenza, sensibilizzando ad un problema (apparentemente) locale istituzioni internazionali e risvegliando ogni giorno l’istinto di difesa e dunque l’amore per ciò che è nostro da sempre.
Arena Rogadeo e l’Associazione Just Imagine vi aspettano ancora numerosi al prossimo appuntamento, che si terrà il 9 agosto, durante il quale verrà proiettato il film “Aurora. Un percorso di creazione” di Cosimo Terlizzi.