“Poeti alla Finestra”, dunque,
SECOP edizioni, a cura di Nicola Pice.
Un Libro di Classica Eleganza nella
veste tipografica, Stampato con i “Caratteri Bodoniani”, nel cui Frontespizio
si traduce “la tela mistica e visionaria dalle grandi campiture colorate” di
Mimmo Sforza. In Pittura il ”Campire” è il preparare, mediante una stesura
omogenea di colore, lo sfondo entro il quale collocare le figure o l’oggetto
della rappresentazione. La Tela
di Mimmo Sforza Si Compone di sfondi di differente colore che, probabilmente,
alludono ai molteplici Linguaggi che Distinguono, inevitabilmente,
memorabilmente, i Poeti Inseriti nel “Florilegio” di Nicola Pice. Infatti, le
Parole e il loro Suono sono la
Scaturigine, Precipua, Peculiare, Personale, delle Idee e
Convinzioni di Ciascun Poeta; in ogni Poesia, al principio, c’è la Parola, sempre. Iosif
Brodskij Afferma: ”Nessuna Poesia è mai scritta in funzione del suo elemento
narrativo. Quella che chiamiamo musica di una poesia è tempo ristrutturato in
modo tale da mettere a fuoco il contenuto di una poesia in maniera
linguisticamente inevitabile, memorabile. Il suono è la sede del tempo in una
poesia, e lo sfondo su cui spicca il contenuto, assumendo un carattere
stereoscopico”. Infine, “Poeti alla Finestra”, l’ultima, “sed” non ultima,
Fatica di Nicola Pice, Significativa del suo Incomparabile Impegno di Studioso
e di Maestro “Politico”, cioè in favore della “Polis”, della “Civitas”, Si
Arricchisce delle Preziose Acqueforti di Giuseppe Ranù e di Mariangela Moscelli
sulle “Finestre”, molte delle quali “chiuse”. Perché ? Rari sono gli sguardi
solitari dei Poeti sulle cose e delle cose
su di essi ? Non ci sono più Poeti che Esprimono, fedelmente,
l’Interazione tra Etica ed Estetica ? Manca ad Essi, come Lamenta Maria Luisa
Spaziani, un’ ‘anima’? “…che si sveli,, si riveli, aggredisca il mondo,
compiendo qualcosa di forte…Quello che mi aspetto sempre che accada, però, è
l’esplicitazione di qualcosa che cambi il corso dell’esistenza… e in grado di
riunire, in una formula di parole, un messaggio vero che non sia solo
letterario”. Non ci Sono più Poeti che Si Donano al Mondo; che Si Collocano
dentro le cose del mondo, nel cuore delle cose del mondo (Tanto Accentua la Loro Credibilità); che non Si Propongono
di imitare la realtà, ma di Creare o di Cercare una Realtà; che Rifrangono la Vita, più che rifletterLa,
attraverso il Prisma di un Cuore e di una Mente Ineffabili ? Che Attendono
all’Educazione Sentimentale dei loro Lettori contro l’ondata di volgarità dei
tempi, contro i luoghi comuni di essi, contro il “pensiero unico”,
unanimemente, accettato, perseguito, uniformemente ? Che Sappiano intonare il
“Controcanto” al “canto” del Mondo con tutto il loro Essere; che sappiano
Proporre e, quindi, Testimoniare uno Stare al Mondo Diverso, non, Storicamente,
Ravvisabile, cioè ”Dis”umano ? Prima di Dare una Scorsa al suo Lavoro
Antologico – Poetico, vorrei SoffermarMI, brevemente, sul Sindaco Pice (per due
Mandati a furor di popolo) che Domandò
alle macerie di restituire alla Percezione degli Eletti i Barlumi della Storia,
dell’Arte, della Bellezza: un cumulo di rovine era, ormai, il “Teatro Umberto”,
ora “Traetta”; un lugubre manufatto militare era il “Torrione Angioino”.
Ebbene, Pice Sindaco, il “Traetta” restaurato è diventato la Sede di qualificate Stagioni
Teatrali; il “Torrione” ha dismesso l’aspetto truce di ospite di contingenti
armati ed è stato trasformato in un funzionale Contenitore di Eventi Culturali.
A Tanto si deve aggiungere l’Inaugurazione nel marzo del 2000 del “Museo
Archeologico” della Fondazione “De Palo – Ungaro” che Accoglie reperti, datati
VI – III secolo a.c., rinvenuti nella necropoli di via “Traiana” in bitonto.
Basta Quanto ho testé Rammentato, se si pone mente ai “ragiunat” che, provvisoriamente,
occupano “palazzo gentile”, per Operare un bilancio, assolutamente, positivo
della Sindacalità di Pice. Poiché Conosco a menadito la condominialità
bitontina, devo, ancora, Dare alla Memoria la Funzione di Parola
“chiave” e Precisare che, non sempre, con Pice sullo Scranno di Sindaco i miei
rapporti furono idilliaci: ci furono momenti in cui, letteralmente, gli
scaricai contro le mie critiche di un’asprezza, che ora valuto, probabilmente,
ingenerosa. Gli uomini, i fatti degli uomini,
le opere e i giorni di essi, anche Quelle Nobili che Si Elevano nei Cieli
dell’Arte e della Poesia, vanno giudicate, mettendosi a debita Distanza da esse
nel tempo e nello spazio. Ma Egli non MI portò, giammai, rancore, Apprezzando la Sincerità e la Solarità dei miei
atteggiamenti e comportamenti. Siffatta Delicatezza d’Animo non può non essere la Motivazione Propedeutica
alla Composizione da parte di Pice del Libro “I Poeti alla Finestra”. Dopo aver
Letto le oltre 350 pagine di Esso, in cui Pice
Passa in Rassegna, Poeti dell’Antichità Classica, e poi gli Italiani,
dal Petrarca fino ai nostri giorni, e poi, i Poeti d’Europa, e poi, i Poeti,
d’Oltreoceano e poi, i Poeti d’Oriente, nelle cui Composizioni compare la
parola “Finestra” (Il “Florilegio” Poetico di Pice Assevera l’Ottima sua
Lettura e Conoscenza di Tanta Parte
della Produzione Letteraria, sincronicamente e diacronicamente, nel Mondo. E’
sin troppo facile partorire, tal una minerva qualsiasi dal cervello di giove,
un’antologia – “miscellanea” di componimenti poetici non teleologizzata a
disvelare un progetto culturale, mentre è molto difficile Estrapolare,
dall’Immensa, Vertiginosa Quantità e Qualità di Canti, Quelli Coerenti con un
Tema Precipuo per Dimostrare un, altrettanto, Precipuo Asserto), Operando una
sorta di sinestesia, Associando, cioè, il Tempo allo Spazio, MI sono Immaginato
Pice Vagare con petrarchesca aria assorta in un Interminato Giardino. Non per
cogliere rose e margherite e gigli e orchidee e gherofani, ma per essere
Inondato dalla potenza della loro varietà cromatica e dal loro profumo; per, di
seguito, Descrivere, Pasolinianamente (I Giudizi Critici per Pasolini sono
“Descrizioni di Descrizioni”), con una Prosa, che è Poesia, Possedendo dei Ritmi interni propri, le
Sensazioni, le Emozioni che essi Gli Procuravano. Ribadisco una Prosa Semplice
e Piana, apparentemente, però, ché è una Prosa molto “Elaborata con la pasta
della Poesia”. I Giudizi di Pice sui “Fiori”, che Incontra, non sono,
dilettantisticamente, “more” Croce e i crociani, impressionistici, “sed” sono Forgiati
con i Rigorosi Ferri del Mestiere della Prosodia, della Retorica, in particolare,
le “Figure”, in quanto non v’E’ Arte, né Poesia, se non v’E’ Rappresentazione
Figurale. Tanto c’Insegna Erich Auerbach! A cosa alludono le “Finestre”? Nei Contesti Poetici
le Parole, oltre al significato letterale, Rimandano alla dilatata Polisemia,
per cui, secondo Maurice Merleau Ponty, è inutile fare l’analisi filologica dei
testi, ché ognuno vi trova ciò che vi
mette. Per Calvino, ad esempio,”…forse l’io non è altro che la finestra
attraverso la quale il mondo guarda il mondo”; per Verga in “Lacrymae rerum” le
“Finestre” sono ”ambigue e morbose espressioni di situazioni esistenziali e dei
vari e contrari aspetti della vita”; per Altri “Una presa di coscienza di sé e
di tutto ciò che ci circonda”; per Michele Bracco, infante, le “Finestre”
costituivano una specie di “input” nell’angoscia, in quanto, prospicienti la
spiaggia dove egli si bagnava le “chiappe chiare” e, poi, si liberava del
costume da bagno, dietro di esse poteva celarsi qualcuno/a interessato/a a
scoprire le sue “pudende” nel caso l’asciugamano, che lo avvolgeva, si fosse
stancato di servire il suo esagerato, esasperato pudore. IO Darei una Valenza
Semantica mimimalista alla “Finestra” , non foss’altro che, se Dicessi: ”Per ME la “Finestra” significa
questo e basta”, escluderei una miriade di significati, con i quali la
“Finestra” potrebbe essere caratterizzata da una miriade di Lettori di Poesie,
in cui Essa appare, quasi, come un importante personaggio in grado di
concludere lo sviluppo di Esse, magari, narrativo. Per ME la “Finestra” è una specie di spartiacque tra il di qua e il di là di Essa, ma solo i
Poeti, Spinti dalla Curiosità”, possono Imparare e, Imparando, Cambiare,
ImponendoSi delle Domande, dopo aver Gettato i loro Sguardi sul Mondo o sui
Mondi Collocati al di qua o al di là della “Finestra”, per Fondare quella
“social compagnia”, di cui Deplorava la mancanza Leopardi nella “Ginestra”. Il pertugio, anche, posto
sulla sommità della caverna, nel Famoso Mito Platonico, agisce da spartiacque,
da confine, da separazione tra il mondo degli schiavi incatenati nella caverna,
costretti dalle catene a guardare solo il muro posto di fronte a loro, e il
mondo al di là di essa. Attraverso il pertugio il mondo al di là di esso
proietta dentro la caverna ombre sul muro, grazie al fuoco che lo illumina, e
gli schiavi ritengono che quelle ombre siano la sola realtà esistente, tanto
che sarebbero disposti ad uccidere, incolpandolo di avere gli occhi guasti, uno
schiavo, che essendosi Liberato e, avendo preso Dimestichezza con la Realtà Vissuta fuori della
caverna, rientrato in essa, Desidera, ardentemente, parteciparla ai suoi
compagni di sventura. Ancora, se dovessimo Recitare l’Attacco della “Sera del
dì di festa” del Grande Giacomo (Dolce e chiara è la notte e senza vento /e
queta sovra i tetti e in mezzo agli orti /posa la luna, e di lontan rivela
/serena ogni montagna….”), non rinveniremmo i tetti a fare da spartiacque tra
la indifferente, ché inconsapevole del suo esistere, serenità della Natura, di
cui la luna è parte, e i quotidiani drammi dell’uomo, irreparabilmente,
separato sotto i tetti da colei che in qualsiasi momento può, pur, farsi sua “inimica” ? E il Romanziere di
cosa viene accusato per aver mostrato ai poveri di spirito che sono ciechi,
come gli invidiosi dell’”Inferno” Dantesco, che hanno le palpebre cucite con il
ferro, affinché i loro occhi non gettino lo sguardo malevolo su niente ? ”Un
romanzo è uno specchio che passa per una via maestra e ora riflette al vostro occhio l’azzurro dei cieli ora il
fango dei pantani. E l’uomo che porta lo specchio nella sua gerla sarà da voi
accusato di essere immorale! Lo specchio mostra il fango e voi accusate lo
specchio! Accusate piuttosto la strada in cui è il pantano, e più ancora
l’ispettore stradale che lascia ristagnar l’acqua e il formarsi di pozze
(Stendhal, “Il rosso e il nero”). In “Poeti alla “Finestra” Nicola Pice
Mostra di essere un Ottimo Traduttore
dei Classici Greci e Latini, Sfatando,
anch’Egli, il pregiudizio, ad esempio, di: Croce, per il quale, nel saggio
”Critica e Poesia”,”La poesia non si può tradurre né in prosa né in altra
poesia e si può solo ricantare nelle parole dei suoi poeti”; Diego Valeri, che
nello studio “Del tradurre i poeti” proclama: ”Intraducibile non è soltanto il
perfettissimo Orazio, ma ogni poeta il quale abbia una voce, una personalità
artistica sia pure di modesto valore”; Roman Jakobson, secondo il quale ”La
poesia è intraducibile per definizione”, ogni tentativo di traduzione poetica
appare una operazione di “trasposizione creativa”. Comunque, non sarà la mia
una posizione, scientificamente, corretta, ma a ME l’Emistichio: ”…ferisce
quel grido le fulgide stelle”, Tradotto da Pice da Virgilio (“Eneide”, II, v.488)
Produce lo Sgomento, lo Sconquasso
d’Anima, come se Lo Leggessi nell’Originale Latino. Gaston Bachelard, Filosofo
della Scienza e della Poesia, Discute di “Retentissement”, per Indicare quel Fenomeno
che Porta il Lettore e, quindi, il Traduttore, a SentirSi come il Poeta Stesso;
non è mera identificazione col Poeta, ma è percepire ciò che è stato scritto
come Proprio. Attraverso il “Retentissement” l’Immagine Poetica mette in Moto
l’Attività Linguistica, facendo Avvertire al Lettore – Traduttore un Proprio
Potere Poetico, che Si esprime nella Consapevolezza del Lettore – Traduttore
che quell’Immagine avrebbe potuto
CrearLa Egli Stesso. Il Fenomeno Studiato dallo Scienziato Francese Converte lo
Studioso, l’ Intellettuale, il Ricercatore Nicola Pice in un Sensibilissimo Poeta. In “Poeti alla “Finestra”
si può Leggere un Verso Sublime, Tratto
dalla Poesia ”Aprile” di Gabriele D’Annunzio: ”Non è che voce d’acque su la
pietra”. Mentre Lo Leggevo un mezzo busto televisivo, con l’inveterata
indifferenza di chi è abituato a “strisciare” ad ogni ora luttuose notizie, MI
Informava che in bangladesh, tra altri, 9 italiani che, forse, avevano
delocalizzato le loro intraprese tessili in quel paese, sperando di metterle in
sesto, risparmiando, oltre ogni dire, sul bassissimo costo del lavoro, sono
stati trucidati dai terroristi dell’ ”isis”. L’uomo sfrutta l’uomo, l’uomo
carnefice dell’altro uomo non in un inferno in affitto, ma su una zolla di
terra, paurosamente, sola e piccola in un universo, incommensurabilmente,
incognito. Allora, Caro Nicola, per Parafrasare la Poetessa Russa Cvetaeva,
metteremo le “nostre sorrise parolette brevi” tra virgolette come chiacchiere a
priori vuote, avendo ciascuno di noi un
cuore di “pietra”?