“Noi giovani”, Sento, spesso,
ripetere con stucchevole, vanesia, spocchiosa alterigia ”ab iis qui iuverunt atque iuvant rem
pubblicam” in vari modi nel passato e nel presente, consapevolmente o meno; liberamente
o ché coartati dai padroni di essa. Ad esempio, proprio per entrare, subito,
“in medias res”, cosa dire dell’assemblea e picchetti organizzati dagli 800
studenti (???) dell’istituto tecnico “Pasolini” in milano (fosse Stato, ancora,
in Vita, “IL CORSARO” avrebbe Indirizzato la sua Impagabile Stizza nei
confronti di codesta adolescenza che con masochistica fannullaggine non Semina
nel presente nulla che possa “pro ea”, in suo favore, dare Frutti nel futuro.
Pur di non fare Lezione, essa s’inventa i più improbabili o i meno plausibili
pretesti) contro la circolare firmata dal preside per richiamare i lazzaroni
della sua scuola al rispetto dell’orario d’ingresso, dal regolamento d’istituto
fissato per le 8.10 con la tolleranza di 10 minuti.
A dispetto delle regole,
tanti fannulloni si fermano “fuori, davanti al portone” ed entrano in classe,
quando a loro garba, disturbando, incessantemente, l’”attività didattica”. Come
ho in altri miei Scritti Ribadito, i nostri fantoli con la “pancia piena” hanno
scoperto la forza del numero, non per Aiutarsi, a vicenda, ad Essere,
Individualmente, Aquile,”sed” per sostenersi, a vicenda”, avendo l’umana
insensatezza sposato e, simil piccioni, in stuolo, stazionano a terra, in
basso, colmandolo di una coltre di “popò”.
Bisogna stigmatizzare che non danno
prova di avere decenti attributi i dirigenti scolastici della “buona scuola” renziana
che, nonostante siano stati da renzi gratificati di poteri da ducetti, poi, il
passato ripassando, impauriti dall’agrezza dei picciotti, dal ’68 del secolo
scorso in rivolta, con il consenso sperticato dei loro irresponsabili parenti,
anch’essi “senza zebedei”, si calano le braghe e supplicano i rappresentanti
dei sanculotti di ”fare proposte” per risolvere i problemi da essi stessi
creati, chiedendo, quasi, scusa, in lagrime, di aver preso la penna in mano e
scritto una circolare in cui, urbanamente, loro si chiedeva di essere puntuali
con i loro insegnanti, come sono, magari, puntuali con le loro morose o morosi.
Mai, Andare alla Radice Greca di una parola italiana, è stato più acconcio, più
consono al mio Discorso ”in itinere”! Infatti, ”moros”, in Greco, significa
“sciocco”, idiota e tanto altro di, umanamente, negativo. Pertanto, quintali di
ciccia, culturalmente, inerte, domani non sarà utilizzata dall’”establishment”
della repubblica in cui, per l’accidia, l’infingardaggine delle classi
subalterne, non vi sarà, come non v’è oggi, mobilità sociale e la “res publica”,
rimarrà, qual, oggi, rimane, mafiosamente o massonicamente, “cosa” dei soliti
noti che se la trasmetteranno, come se la trasmettono, oggi, ereditariamente, di
essa facendo strame e delle masse sonnecchianti che si sentono appagate, si eccitano, raggiungendo l’”acme sessuale”,
se una ciurma, da esse mitizzata, di mercenari pallonari vince un campionato di
calcio?
Niente di nuovo dal passato in cui le masse, tacitate dalle elargizioni di farina da parte del
senato o del console o dell’imperatore, e dalla facoltà, da essi concessa, di
decidere della vita o della morte del gladiatore sconfitto nell’arena del circo,
dimenticavano, dimenticano che erano, sono da esse partoriti gli eroi morituri
in guerra, mentre esse poltrivano, poltriscono, non in un Insieme di (Dis)umane
Particolarità, sebbene in una poltiglia mefitica di “signorsì” alla “voce” che
contava, conta e che a loro, coattivamente, suggeriva, suggerisce, perfino,
come si dovesse, si debba nell’alcova fornicare; come, quando, dove ingaglioffirsi nel “tempo libero”. Niente che
possa essere spartito tra
l’ingaglioffirsi telecomandato dei massificati e l’ingaglioffirsi, ad
esempio, di Machiavelli (nell’esilio di San Casciano) che di mattina, in visita
all’”hosteria”, univa al dilettevole sollazzo morigerato di un bicchiere di
vino l’utile di parlare con gli avventori di/in essa e di domandare loro “delle nuove de’ loro paesi”; di intendere
“varie cose”; di notare “varii gusti e diverse fantasie d’homini”.
La
giovinezza, quindi, non apparteneva (medesimamente, non appartiene, oggi)
nell’antica roma ad una classe d’età, ma alla presunta capacità, tutta fisica,
pur “sine cerebro”, del ”civis romanus” di “giovare”, dai 18 ai 45 anni, alla “res
publica”: producendo carne da macello che potesse riempire, infoltire le
legioni (sin dalla fondazione di roma il tempio di giano fu, sempre, aperto ché
l’urbe fu, continuamente, in arme, tranne che per brevi periodi, in cui essa fu
in pace al suo interno e all’esterno di essa per mare e per terra. Inoltre, la
Storia Si ripete: mussolini, sapendo che lo sbocco dell’imperialismo fascista
non poteva che essere la guerra, per approvvigionarsi di militi, prometteva
5mila lire alle coppie di sposi con figliolanza numerosa); sopportando le
pesanti arme e armature (il gladio, l’asta,
il giavellotto, la corazza) nelle innumeri guerre, battaglie in cui egli fu
costretto ad affaccendarsi.
Data la non lunga aspettativa di vita, il “civis romanus”
diventava “senex”, appena, superati i 45 anni. “Vidi presso di me un veglio
solo, /degno di tanta reverenza in viso, /che più non dee a padre alcun
figliolo”. Con questi Versi di Struggente Icasticità Dante Annuncia il suo
Incontro all’ingresso del Purgatorio con Catone Uticense, che la Vita aveva
Rifiutato, per non essere un suddito di cesare. Catone aveva appena superato i
45 anni, quando Si suicidò, eppure, ecco la Descrizione, che di Lui ci fa
Dante: ”Lunga la barba e di pel bianco mista /portava, a’ suoi capelli
somigliante, /de’ quai cadeva al petto doppia lista”. Non rare volte, con
immenso rammarico MI Accorgo di Rivolgere il mio Accorato Pensiero alla
innumerabile quantità e qualità di giovani che, non so determinare da quando,
su tutte le zolle del pianeta, fino ai nostri giorni, si sono tra loro
trucidati, si trucidano ché forzati dai detentori del potere (singoli, da
classi egemoni delegati) nelle loro rispettive repubbliche, per “avarizia” gli
uni contro gli altri armati. La pubblicità delle repubbliche, degli stati,
delle patrie è stata, ognora, circoscritta a minoranze a fronte di maggioranze,
in ogni caso, comunque, di servi e la coscrizione obbligatoria dei giovani, per
la maggior parte appartenenti alle classi subalterne, ché andassero, vadano a
morire, pressati da cause, da interessi non loro, non della loro classe,
veniva, viene in molti paesi edulcorata da intellettuali, scrittori, poeti,
organici al potere, con la favola bella che ”dulce et decorum fuisse, esse pro
patria mori”.
Per evitare che s’innalzassero, s’innalzino il patiboli o si
formassero, si formino plotoni di esecuzione (La prima guerra mondiale, alla
quale l’italietta partecipò con le nazioni
dell’”Intesa”, fu fatta passare, dai “media” del tempo, quale guerra di
popolo per la liberazione dal servaggio austro – ungarico di trento e trieste.
Miserabile menzogna, testimoniata dalle condanne a morte e a lunghi anni di
galera comminati dai tribunali militari ai contadini meridionali, accusati di
diserzione o di scarso coraggio durante le operazioni belliche. Per non parlare
della “decimazione” dell’esercito italiano, schierato sul “Carso”, dopo la
sconfitta di “Caporetto”, ordinata dal re) per il reato di renitenza alla chiamata alle
armi, c’era, c’è la confezione dell’immagine della patria, “ad usum stultorum”,
da parte delle penne cortigiane, dissolta in un’entità materna malata, in crisi,
che abbisognava, abbisogna del sacrificio dei suoi figli, più giovani e, se
possibile, più, socialmente, scalcagnati. Nel 1916 in un tema in classe sul
verso oraziano: ”dulce et decorum est pro patria mori”, il Giovane Studente Bertold
Brecht Espresse un Giudizio negativo sulla
morte eroica, Affermando tra l’altro: ”Il detto che dolce e onorevole è morire
per la patria può essere considerato solo come propaganda con determinati fini
(…). Solo degli stupidi possono essere così vanitosi da desiderare la morte,
tanto più che pronunciano simili affermazioni quando si ritengono ancora
lontani dall’ultima ora. Ma quando la comare morte si avvicina, ecco che se la
squagliano con lo scudo in spalla, come fece nella battaglia di Filippi il
compositore di questo verso, il grande giullare dell’imperatore”. Il 23 giugno
del 1930 Brecht a berlino Mise in Scena, per la prima volta, il Dramma
Didattico, Interpretato da Studenti (Quelli Veri, non i meschini “posa culi”
sui banchi delle scuole italiettine, a cui, prima, ho Accennato), dal Titolo “Il Consenziente”. Ecco una breve
Sinossi del Dramma: per una preoccupante pestilenza c’è bisogno di medicine e
precetti e un Maestro Si propone di organizzare una spedizione in alta
montagna, ove solo essi possono essere reperiti. Un suo discepolo Lo prega di
poterLo accompagnare nella speranza di ottenere medicine per la madre ammalata.
A causa della pericolosità del difficile viaggio, il ragazzo si ammala per la
via. Il maestro e i suoi compagni, ubbidienti alla “Grande Usanza”, gli
comunicano che saranno costretti a gettarlo nella valle. Il ragazzo acconsente
e i suoi compagni, pur imprecando alla implacabilità delle leggi, eseguono il
rituale “diktat” della “Grande Usanza”. Il dramma non riscosse unanime
approvazione, in quanto si temeva consigliasse
il “placet” ai doveri imposti da un’autorità, autocraticamente, balorda e alla guerra. Brecht, Ritenendo Fondate
le Critiche, Scrisse un altro Dramma, dal Titolo “Il Dissenziente”, che Volle
fosse Rappresentato insieme al “Consenziente”, assolutamente, Identico a
quest’ultimo, ”sed” con il Finale Diverso. Cioè, il ragazzo, si Ribella alla
“Grande Usanza” e Dissente dall’essere gettato nella valle.
I due Drammi
Didattici, Posti da Brecht in una Situazione Dialettica, ci Ammoniscono che,
per Risolvere il Problema Etico e Politico del Bene del Singolo e della
Collettività, bisogna Teleologizzare il
nostro Agire all’Arricchimento Culturale, Spirituale della nostra
Individualità, dell’ “Ego” nostro e
MetterLo in Rapporto Costruttivo con altre Individualità, altrettanto,
Arricchite o Persuase della Necessità dell’Arricchimento. Quindi, bisogna
Imparare a Vivere, responsabilmente; a Fare Scelte Consapevoli e, secondo la
“Paideia” di Machiavelli, Considerare lo Studio: Brama, Desiderio, Volontà di
Dialogo Divertente (da “deverto”, cambiare la rotta dell’esistere nostro) con i
Grandi, Capitalizzando le loro Esperienze,
i Risultati del loro Zelo in tutti Campi in cui un Uomo possa AppassionarSi o
ai quali Si Senta Vocato. Così lo Studio non sarà più arido nozionismo, erudizione da prostituire o da mercificare, ma
Mezzo per Capire il nostro presente nella “casa mondana”, slegandolo da un
passato, cruentamente, umano e proiettandolo in un futuro che non sia la solita,
malinconica Utopia di una nuova aurora. Negli “Scritti teatrali” Brecht Scrive:
”Alcuni strati sociali non pensano affatto a migliorare le loro condizioni di
vita, poiché le giudicano soddisfacenti (…)Ma vi sono altri strati sociali che
si sentono scontenti dei rapporti in cui vivono: costoro hanno per lo studio
uno smisurato interesse pratico,
vogliono assolutamente orientarsi, sanno che, senza lo studio, saranno perduti.
Essi sono i migliori, i più avidi studiosi. Le medesime differenze valgono
anche fra paesi, fra popoli. Il desiderio d’imparare dipende dunque da vari
fattori, ma non si può negare l’esistenza di un entusiasmo per lo studio, di
uno studio gioioso e combattivo. Se non vi fosse questa possibilità di studiare
divertendosi, allora veramente il teatro, per quella che è la sua struttura, non
sarebbe assolutamente in grado d’insegnare”.
Caro Brecht, ciò che ho Trascritto
dai Tuoi “Scritti Teatrali” potrebbe essere stato verosimile nella tua
germania, al tuo tempo, forse. O avrai Giudicato che sia contro Natura l’odio
nei riguardi dello Studio, l’indifferenza nei riguardi dell’ ”Arricchimento
Culturale e Spirituale”, di cui ho, “antea”, Discorso, da parte degli strati
sociali che non hanno, mai, avuto Peso Politico nei loro paesi e, purtroppo,
continuano, felicemente, rassegnati, a non averNe. Essi non s’impadroniscono,
pur se si sono a loro spalancate le porte delle scuole, di quegli Strumenti
Culturali (La Scienza, l’”Humanitas” della Storia, delle Lettere, della
Filosofia, dell’Arte) Salutari per l’Orientamento nei rapporti sociali del loro
tempo, affini, ahimè, a quelli del passato, patrimonio di minoranze,
privilegiate nel passato e nel presente, che, anche, grazie al possesso di tal Esclusivo
Bagaglio di Conoscenze Scientifiche e Umanistiche, perseverano o perseguono
l’”infinocchiamento di essi”.
La scuola pubblica italiettina è gremita da
rampolli della piccola – borghesia, del proletariato, del sottoproletariato.
Quindi, è gremita dai prodotti dell‘indaffararsi spermatozoico degli strati
sociali che tu hai Sognato, totalmente, Immersi nell’Acquisizione Gioiosa del
Sapere, Certi che Essa è l’Ineludibile “Condicio sine Qua non” sia possibile
Trascendere la millenaria sudditanza delle maggioranze nei riguardi di
minoranze, dal forte, insopportabile odorato
di mafia e di massoneria. Invece, non del Sapere hanno dimostrato,
almeno nell’italietta (ma se le sparta piangono, pur non ridono le atene del
pianeta) di essere avidi gli strati sociali, di cui sopra, sebbene del pezzo di
carta, del lauro di plastica che ridicolizzano le cervici dei loro figli e,
nonostante codeste protesi, che, tra
l’altro, non ufficializzano, non certificano alcunché, la loro minorità sociale
“manet optime”. A parte il fatto che nell’ italietta, inventrice del nepotismo,
per poter esorcizzare gli effetti della
partenza privilegiata verso l’empireo sociale dei pochi nepoti di coloro che
sono, in pochi, già ben piazzati in/su di esso, bisogna essere non quanto loro,
ma mille volte più bravi di loro che, proprio per conservare il primato, gli
annessi e connessi della loro classe, sono stati, sono dai loro genitori o
nonni, non stupidi quanto gli omologhi
piccolo- borghesi o proletari, obbligati a far fiorire calli, “ove non v’è che luca”, ché tutte le
possibili, eventuali raccomandazioni in loro favore servano da supporto a
Competenze Professionali di non poco Momento, non di Esse sostitutive. Cosa
potranno, giammai, sperare dal trascorrere dei loro anni i duecentomila
galleggianti nel “mare magnum” dell’ebetudine, che hanno pazientato, per ore, sotto la pioggia; che si
sono messi in cammino dalle località più da roma lontane per godere in “piazza
san giovanni” il “brutto” musicale, loro propinato da pagliacci brutti, “tout
court”, barbuti, tatuati secondo il ”trend” in corso, falsi musicisti, ché
incapaci di leggere e scrivere musica ?
Il 1° Maggio fu Istituito ché, mai,
fosse dismessa la Rimembranza del Martirio di 5 Sindacalisti Americani, August
Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, Georg Engel, Louis Lingg, impiccati il
10 novembre del 1887 a chicago, per aver lottato ché, finalmente, la giornata
lavorativa fosse di 8 ore. Conquista, da Marx Ispirata e Sollecitata, ché i
Lavoratori avessero il Tempo e l’Energia Fisica per DonarSi all’Amore di Ciò
che Raffina. ”Perché l’arte non dovrebbe, /naturalmente con i mezzi a lei propri,
/contribuire alla grande impresa /di rendere l’uomo padrone della vita?”.
Tanto Cantava Brecht, per Avvertire i proletari che avrebbero Realizzato, Pienamente,
Se Stessi se, AllontanandoSi dalla comune pazzia di spingersi, a vicenda, nei
vizi, S’Incamminassero pel Viatico della Bellezza che, anche, è Viatico della
Verità. Per quel Viatico Brecht, in Consonanza con Marx, era Convinto che ci
fosse tutto un Mondo da Guadagnare.