L’accettazione
della revoca delle dimissioni da parte di un primario non ha
rispettato le norme in vigore? Non importa, si è trattato di “un
errore scusabile”. La
sezione giurisdizionale della Corte dei Conti pugliese ha prosciolto
tutti gli indagati per il presunto danno erariale a danno della Asl
di Taranto che ha visto coinvolto l’ex primario dell’ostetrica
dell’ospedale Giannuzzi, Paolo Di Mase.
Assolti,
dunque, tutti i protagonisti della vicenda, tra cui anche l’allora
direttore sanitario della Azienda sanitaria locale di Lecce, Domenico
Colasanto.
Di
Mase, in servizio sino a settembre 2010, aveva ricevuto dalla Asl
salentina la somma di 188mila euro quale indennizzo per essere stato
messo a riposo due anni prima del raggiungimento dell’età
pensionabile. La transazione avvenne consensualmente dopo una serie
di tappe di dubbia legittimità su cui ha indagato anche la procura
della Repubblica di Taranto, decidendo di archiviare il caso
trasmettendo però tutti gli atti alla giustizia contabile per un
ipotetico danno erariale.
I
fatti.
Di
Mase, il 15 luglio 2010, intenzionato a lavorare in una struttura
privata, presenta domanda di dimissione volontaria. Un mese dopo
cambia idea invocando la revoca delle dimissioni, e il 31 agosto
avanza alla Asl la proposta di risoluzione consensuale del rapporto
di lavoro. L’8 settembre, l’amministrazione, che intanto aveva
deciso di sopprimere il posto di primario di Manduria accorpandolo a
quello di Grottaglie, accetta la transazione con la conseguente
liquidazione dell’importo pari alle due annualità di stipendi che
il ginecologo ha percepito senza lavorare.
Per
la procura generale, quei soldi non dovevano essere pagati, e perciò
aveva chiesto la condanna per danno erariale con la restituzione
della somma ai vertici aziendali dell’epoca: il direttore generale
Domenico Colasanto, e i dirigenti amministrativi Massimo Mancini,
Pasquale Nicolì e Maria Rosaria Semeraro.
I
giudici contabili hanno invece deciso di proscioglierli tutti.
Perché, secondo loro, i vertici Asl furono indotti all’errore per
«un erroneo convincimento, come la novità delle norme o la loro
difficile e controversa interpretazione, la giurisprudenza
oscillante, l’equivocità di provvedimenti in precedenza adottati,
l’esistenza di situazioni obiettivamente incerte e di difficile
valutazione». E ancora. «Perché l’errore diventi
rilevante e, quindi, elemento di colpevolezza, occorre che si abbia
negligenza» che evidentemente non è stata riconosciuta a loro
carico.