Che scintillio fanno le cose della vita!
E che scintillii facevi Monica!
“Scat” tu eri un fenomeno umano abbastanza singolare.
Come se in te scorresse – con impeto – il grande mistero che ci fa essere artisti, la gioia argentea dei sorrisi, la grazia lunare delle lacrime, il bisogno eccessivo di vita, amicizia, di festa…
Tutto insieme a nascondere la fragilità dell’esser noi… solo creature.
Tutto stretto da un fiocco argentato che ti cingeva la testa.
Un giorno hai cucinato un ottimo primo di pesce e ti ho letto ciò che avevi chiesto di scriverti una settimana prima.
Mi avevi avvisato di un’intuizione lampante con una telefonata alle 2330.
Ho buttato giù il testo d’un fiato.
Alla fine ricordo le tue lacrime.
Mi sono agitato e soffiandoti il naso hai detto: “no no… piango perché mi piace”.
Ci hai pensato un attimo e poi in un sorriso: “certo,è come: canto perché non so nuotare… (‘azzo di titolo…)”
Ti ho visto piangere tante volte.
Come i bambini hai sempre mischiato pianto e sorrisi.
Hai pianto luminosa, commossa, ai compleanni. Hai pianto a primavera, perché la tua Trastevere era in primavera perpetua.
La tua casa dalle pareti ocra nel vicolo senz’auto, la macchina da presa che usava tuo padre in salotto, il bagno affogato di trucchi. Il sorriso inossidabile di tua madre, la locandina francese, la tovaglia bordò e la casa dell’Umbria dove portavi le nipoti.
Possedevi un’originalità unica Monica. Eri “senza pelle” come si era detto. In bilico tra risa e commozioni con la capacità, unica al mondo, di riderti addosso.
Il film di tuo papà con Buster Keaton, gli anni a New York, l’accento toscano preso dai nonni… la cagnolina Baby Jane che ringhiava ogni volta che esclamavi: gatto gatto!
…E Haber che abbaiava ogni volta che gli interrompevi i racconti.
Le minestre per tutti, la cucina fatta solo con cose fresche comprate al mercato.
Sembrava una trattoria casa tua certe sere. E mi veniva voglia di pagare il conto, ma a te nessuno il conto l’ha mai pagato. Neanche chi t’ha fatto soffrire.
La sera che avevi aspettato, sotto la pioggia, con la teglia in mano perché andavamo al compleanno del tuo migliore amico.
Sei salita in auto imprecando contro la tua bontà: “ma a me ma chi me lo fa ffare…”
Ti circondava un’umanità che secondo me non esiste davvero. Ho ripensato a quel “nooo non può essere” che hai esclamato quando è passato un regista che avevi trovato: “pallido pallido come un cinese”!
La verità è che era la tua presenza a rendere la gente intorno così felliniana.
Erano e resteranno delle proiezioni della tua testa che si son fatte carne.
Se qualcuno guarda al mondo solo con la logica non potrà mai capirti. Perché la tua ricetta era una base di logica, un pizzico di fantasioso tigrato, un’ironica spruzzata di maculato. Dolcezza quanto basta e ottenevi un piatto da portata perfetto per sfamare un mondo arido.
Un giorno mi hai presentato una principessa dai capelli lunghissimi che amava l’India. Quando si è allontanata hai detto: “non c’ha una lira perciò non li taglia, eppoi lì costa solo meno!”
Un’altra volta m’hai fatto vedere di nascosto il tuo corto, anteprima assoluta, non dovevo dirlo a nessuno.
Hanno citofonato e correndo hai messo il computer sotto il divano.
Una volta ancora hai aiutato un amico festeggiando il tuo compleanno in un ristorante appena aperto. Ma lui non era pronto alla tua generosità: l’hai invaso di tutto il tuo circo. Straordinario vedere sfilare quel mondo! Cariatidi e attori prestanti, un nano con gli occhiali spessi, un produttore metà divano metà uomo si alzava a fatica.
La diva dalle forme esagerate e quella bellissima negli anni ’70… che oggi è un minotauro.
L’attore frivolo del panettone e il viscido che scrive testi.
La starlette e l’attrice di prosa, quella che non s’arrende… e fatica incastrata nel botox.
C’erano un paio di Sandra Milo e tre Gassman.
C’erano tanti ragazzi che avevi aiutato.
C’era commedia e psicodramma a guardarci da fuori.
C’erano numeri, esibizioni, mentitori di carte nelle tue piste da ballo.
C’era il clown serio in un angolo, a osservare ciò che non ha saputo diventare.
Un mondo che fa tenerezza perché non comunica se non con se stesso e che tu portavi intorno con allegra e rara ironia.
Un’altra volta ci hai letto per un’ora le lettere che ti mandavano i lettori della posta del cuore su un mensile. Ho capito che non rispondevi a loro ma a te stessa, facevi una carezza al dolore che t’aveva colpito e non volevi raccontarlo.
Una domenica con un gesto felino hai staccato una pinza di plastica dal capo di una nostra amica e l’hai lanciata dalla finestra giù nel Tevere, perché… le pinze abbrutiscono! Io l’ho sempre pensato! E la sera che hai letto, da brivido, il mio monologo sull’attimo che fugge.
E quella in cui m’avete festeggiato a sorpresa e indossavi per l’occasione pantaloni stelle e strisce.
Avevi detto che erano democratici e mia sorella rideva.
Indossavi fidanzati a volte improponibili, abiti e occhiali che si sarebbero fatti “indossare” solo da te.
Così fantasiosa da sembrare elegantissima, così irregolare da sembrare sexy vamp.
Hai detto fulminea: “lo so!” quando ballavi serissima e t’hanno fatto notare un dettaglio che avevi notato da ore.
Sei stata una zia che ha saputo lasciarmi consigli importanti e anche per questo ti sono grato. E come mancavi quando Nicola mi ha chiesto di essere in giuria e tu non c’eri.
Sei stata sorella per tanti, per Antonino, Alessandro, Osvaldo, Antonella… una zia che Celeste non dimenticherà.
Ora qui resta solo il nostro tendere continuo, a credere che i nostri problemi siano irrisolvibili e le rughe che crediamo sempre lontane.
Resta la pista vuota del tuo circo… mentre ti allontani sul filo, col costume migliore e il trucco perfetto. Con la margherita nel naso ti vedo… che t’allontani dove tutto è più giusto.
Come ricordi, come paillettes, lasci dietro di te, in quest’attimo in bilico, la scia di qualcosa chiamata… la vita.