La vita è fatta di attimi rivelatori.
Si dà per istanti, forse troppo brevi, ma luminosi.
Per barlumi, intendo, che, d’improvviso, fendono la quotidiana coltre di grigiore e ti lasciano scolpita dentro l’anima una luce che ogni tanto rischiara salvifica dubbi e incertezze.
Santuario dei Santi Medici, qualche giorno fa. Il caldo è feroce è assedia i numerosi presenti, nonostante le ampie e alte navate.
Volge al termine una celebrazione funebre, si sta dando l’ultimo saluto ad una signora che deve essere stata Angela di nome e di fatto, viste le parole grate che un nipote dice con chiara voce all’altare e quelle commosse che amici sussurrano fra i banchi austeri.
Dopo che nuvole di incenso hanno sfiorato dolcemente il feretro, è giunto il momento di fare le condoglianze ai parenti.
Molti sentono l’umana urgenza di comunicare la condivisione di un dolore che solo chi ha il cuore ferito può capire.
A quel punto, il parroco rettore della Basilica, don Vito Piccinonna, che pure durante l’omelia aveva consegnato ai fedeli parole giuste, quasi sbuffa: “Capisco che vogliate far sentire loro la vostra vicinanza, la vostra solidarietà però solo questo voglio aggiungere. Ditevi un “ti voglio bene” in più finché siete su questa terra, poi verrà il tempo delle preghiere e delle visite al cimitero, ma, finché potete, donatevi quaggiù un abbraccio, una carezza, un gesto d’affetto in più“.
E ripensi a tutte quelle volte in cui avresti voluto gridarle quelle parole e non hai trovato il coraggio di farlo. Lasciando in un colpevole vuoto d’amore, senza sapere perché, un papà, una mamma, un fratello, un amico…
Forse ha proprio ragione don Vito, diciamoci un “ti voglio bene” in più, finché siamo su questa terra, poi verrà il tempo delle preghiere e delle visite al cimitero.
Finché possiamo, doniamoci quaggiù un abbraccio, una carezza, un gesto d’affetto, prima che il rotolio dei giorni tagli il traguardo estremo.