In una vecchia e celebre canzone dell’album “Scacchi e tarocchi”, Francesco De Gregori, il poeta cantautore, diceva che “La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare”.
Come dargli torto quando ci passano sotto gli occhi e immagini che i media trasmettono a tamburo battente in ogni istante del nostro vivere?
“La storia non si ferma davvero davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze, le brucia”. La beviamo, al mattino insieme a un cappuccino fumante e una brioche, nella pausa lavoro davanti al monitor di un pc mentre addentiamo un panino, perché “la storia siamo noi padri e figli…nessuno la può fermare… e “la storia non ha nascondigli”. Ci passa davanti agli occhi, ci travolge nel nostro cammino, ci trascina dentro come in un vortice…”ed è per questo che la storia dà i brividi, perché nessuno la può fermare”.
Dalla scoperta del fuoco alla fondazione di Roma, dall’invenzione della stampa alle tesi di Lutero, dall’Unità d’Italia al primo volo aereo, da Hitler allo sbarco sulla Luna. La storia non ci lascia pace, ci perseguita, persino quando è lontana migliaia di chilometri e ci riguarda. Le bambine torturate e uccise in Siria hanno le facce dei nostri figli.
I cristiani copti rapiti e decapitati in Libia avevano gli stessi sentimenti e gli stessi pensieri che abbiamo tutti noi quando ci addormentiamo alla sera.
I pianti e i singhiozzi dei bambini, sfuggiti miracolosamente ai naufragi di questi giorni ci risuonano nelle orecchie; le immagini dei loro grandi occhi sperduti e pieni di paura, annegati dentro corpicini malnutriti, intrisi di orrore, riempiono lo schermo dei tablet e ci strattonano mentre guardiamo distrattamente la tv.
Possiamo percepire, come se fosse il nostro, il dolore profondo dei parenti delle vittime dell’attentato al Tribunale di Milano, lo strazio di una madre a cui è stato freddato, in un giorno qualsiasi di udienza il proprio figlio con un colpo di pistola, solo per il piacere di vendetta di un imputato.
Ci siamo riconosciuti in quello sguardo basso, in quella sofferenza silenziosa piena di dignità di chi non ha voglia di regalare alle telecamere un momento di profonda e intima commozione.
Abbiamo assistito al miracolo di San Lázaro, il santo patrono del quartiere più popolare di L’Avana, nel vedere a Panama un presidente degli Stati Uniti e un presidente cubano seduti uno accanto all’altro per un faccia a faccia e una stretta di mano. Ulteriore e inequivocabile segnale della svolta storica. Ci siamo emozionati di fronte all’abbraccio caloroso che ha suggellato l’incontro tra Francesco e Benedetto XVI. Un’immagine che ha fatto il giro del mondo.
Siamo stati Charlie dopo l’attentato di Parigi. Abbiamo sfilato silenziosamente al fianco dei familiari per le strade e le piazze delle città. Abbiamo sollevato assieme loro un grido di rabbia e dolore.
Abbiamo tremato al Cremlino con i vertici ad alta tensione tra Putin, Merkel e Hollande, temendo una nuova Guerra Fredda. E abbiamo seguito, partita dopo partita i nemici Obama-Putin giocare una sfida differente da quella del Novecento. In un mondo certamente più complicato da gestire nel quale Stati Uniti e Russia non sono soli. C’è la Cina, c’è il mondo arabo, c’è un’Europa geneticamente modificata.
Siamo restati sbalorditi e scioccati nel 2001 quando alle 8.45 e alle 9.03, ora di New York, due aerei partiti da Boston e diretti a Los Angeles, dirottati da terroristi di Al Qaeda, vennero scagliati, uno dopo l’altro, sulle torri gemelle del World Trade Center di Manhattan. Il terrore ha creato un vuoto nei nostri occhi increduli, come potevamo credere che fosse vero? Abbiamo pianto a dirotto e siamo restati angosciati davanti al dolore di quelle migliaia di morti. L’11 settembre 2001 non è stato solo il giorno che ha cambiato l’America, ma quello che ha cambiato il mondo.
Il ricordo di quella tragedia è ancora più forte in un momento in cui l’estremismo islamico torna a minacciare tutti noi, con i video integrali delle decapitazioni brutali ed esecuzioni trasmessi in rete.
“La Storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. Nessuno”, diceva De Gregori nel suo testo. Se il metro si ferma in galleria per qualche minuto pensi a un attentato. Ogni volta che sali su un aereo ti fai il segno della Croce, sperando non solo che non vi siano a bordo fanatici islamici, ma neppure un pilota depresso. Se la scuola di tuo figlio organizza una gita al museo o in sinagoga ti chiedi mille volte se “ non sarà rischioso” e poi magari decidi di non mandarlo.
Basta accendere un qualsiasi dispositivo elettronico per essere connessi in diretta con la miseria, il razzismo, la rabbia, le ingiustizie e la corruzione che si mischiano insieme – come polveri da sparo – facendoci sentire al tempo stesso vittime e micce potenziali. Le cifre della disoccupazione giovanile hanno le sneakers ai piedi, i consumi crollano come crollano le borse. Viviamo in un mondo diviso tra pance troppo piene e pance troppo vuote.
E intanto il progresso scientifico, che cammina di pari passo con la storia dell’uomo pure non si arresta. Tra un paio d’anni Frankenstein diventerà realtà: assisteremo al primo trapianto completo di corpo al mondo in cui la testa di una persona sarà trapiantata sul corpo di un donatore. Una procedura mai sperimentata sull’uomo e quello che oggi sembra fantascienza, diventerà il futuro della medicina, risparmiandoci pure il piacere di leggerne il libro o andare al cinema.
Eppure, come dicevamo, la storia è in cammino e non si può fermare. Noi siamo parte integrante di questo lungo e tortuoso sentiero. Tutti siamo parte della storia “nessuno si senta offeso”.
Ogni giorno vi aggiungiamo qualcosa. Possiamo entrarci dentro, sporcarci le mani, stare dalla parte giusta o da quella sbagliata. Possiamo nondimeno provare a consegnare belle pagine ai futuri libri di scuola. Sono i piccoli gesti quotidiani a mettere in moto i grandi cambiamenti.
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