Quanti sogni perduti e poi ritrovati in questa immagine di luce.
Il cielo limpido che si fa di cobalto e prelude al mattino, il chiarore tenue che orla i profili delle cose, il candore invitto della Cattedrale nostra, maestosa e meravigliosa.
Fu il viaggio onirico, sontuoso e impareggiabile, di Magister Nicolaus.
L’aurora che calcina l’orizzonte che non si vede (ma sapremo riconoscere il lume salvifico, quando sbucherà in un angolo remoto della nostra anima?) e, intanto, arrossa i lumini che tremano nell’aria emozionata della sera.
Le palpebre mute del Cristo volgono lo sguardo ormai spento verso la bianca Casa, che si eleva verso l’Altissimo.
Non ha più palpiti quel cuore ferito, ma il suo battito è divenuto il respiro dell’universo.
E’ lì disteso e par che dorma. E forse per questo il giaciglio si chiama culla, come se tornasse nella mangiatoia di Betlemme e la fine è il principio ed il principio già annunziava la fine.
I confratelli si aggirano nella piazza colma d’incanto, chi chiuso nei suoi pensieri, chi tutto catturato dall’impegno del corteo, chi solo in un mare d’invisibili perché.
Frattanto, le candele lacrimano stille di cera e, lontano, s’ode il pianto di una piccola rondine smarrita…