Sono appena passate le sei del pomeriggio, e poco fuori daPalombaio la prima, struggente luce di primavera inonda ogni cosa di fresca letizia, creando un ambiente idilliaco attorno all’isolata Casa dei Santi Sposi, dimora dei missionari stimmatini.
In un clima di serenità crepuscolare, una folta combriccola di parrocchiani si raduna in giardino in attesa di vivere il momento celebrativo del Seder Pesach, la Cena Ebraica che introduce laPasqua del Passaggio, il ricordo dell’affrancamento degli israeliti dalla cattività d’Egitto ed il loro esodo verso la Terra Promessa da Dio ai discendenti di Abramo.
Si tratta di un rito che si nutre di gesti antichissimi, gravidi di significato, e che ancora oggi gli ebrei di tutto il mondo celebrano alla vigilia del quattordicesimo giorno di Nisan, il mese ebraico di trenta giorni tra Marzo e Aprile.
Padre Fulvio Procino, alla stregua di un carismatico Rabbi capofamiglia, attrae i fedeli attorno a sé e, dopo aver officiato una breve liturgia della riconciliazione, li introduce alla Cena Ebraica accendendo le candele della Menorah, il rituale candelabro ebraico dalle sette fiamme. Il velo trasparente del silenzio si spande sugli astanti, favorendo alcuni minuti di raccoglimento interiore, durante i quali è facile convincersi dell’eternità della fede.
E mentre l’oscurità cala sul giorno, si prende posto a tavola, come gli apostoli nel cenacolo, a Gerusalemme. La tovaglia è di un candore niveo, i piatti e i bicchieri in terracotta riflettono il debole chiarore emesso dalle piccole candele fumiganti poste sul tavolo. S’inizia col Qadd?š, la consacrazione della Festa, il primo dei quattro momenti previsti dal Seder, quello in cui, lavate le mani, s’intinge l’erba amara, il sedano, nel succo di limone, per non obliare le amarezze della vita, e si beve il vino stando scomodamente poggiati col gomito destro sul tavolo, in memoria della schiavitù. Quindi è la volta delle Azzime, il pane non lievitato mangiato in silenzio, un po’ come quello che i Padri d’Israele mangiarono in terra d’Egitto, pane dell’afflizione e pane pasquale ad un tempo. Il secondo momento del Seder riprende il filo narrativo della Pasqua antica; il vino, versato nuovamente nel bicchiere, stavolta non dev’essere bevuto.
Si aspetta la parola dei Padri, dunque si legge l’Esodo, e si ascolta, con trasporto di credente, il toccante salmo ventitré cantato in ebraico, così che nessuna eco antica vada dispersa, nessuna speranza messianica spenta. I Salmi, commoventi e poetici, chiudono il momento narrativo, poi si torna a bere vino, versato per cinque volte nel bicchiere, e ci si prepara alla Benedizione del pasto, il Birkat Ha-Mazon, terzo momento della Cena, in cui si riempie il terzo calice, quello di Gesù, e ci si prepara a mangiare l’agnello arrostito con erbe amare, pane azzimo, uovo sodo e una speciale salsa, l’Haroset, realizzata con noci tritate, mandorle dolci abbrustolite, mandorle amare e cannella. Il Seder si chiude con il Grande Hallel, il suo quarto momento, in cui e si canta in lode ed onore del Signore Dio, invitando Gerusalemme a spogliarsi della sua tristezza.
Alla fine della Cena si esce quasi a malincuore dalla sala, preparata per l’occasione con dedizione e scrupolo da donne, uomini, ragazzi della Parrocchia dell’Immacolata. Ci si immerge, così, nelle argentee trasparenze di una notte d’inizio primavera, in cui echeggiano ancora, in dissolvenza, immagini e canti ebraici, e s’imprimono nell’animo i tanti volti sorridenti con cui aver condiviso la gioia dell’inizio della Pasqua.