Il
momento più toccante è la lettura dei nomi di alcuni dei 60 pugliesi caduti per mano della mafia (1200 sono state le vittime in tutta Italia). Quando risuonano, ci si rende
conto che alcuni sono davvero indimenticabili: Emanuele Basile,
ammazzato nel 1980. Rosario Di Salvo, collaboratore di Pio La Torre,
freddato nel 1982. Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro,
che hanno perso la vita con Giovanni Falcone nella strage di Capaci
del 1992. Mauro De Mauro, scomparso e mai più ritrovato nel 1970. Domenico Petruzzelli, il pargolo di 3 anni ucciso – con i genitori
– nell’agguato di Palagiano poco più di un anno fa.
«Tutte
le vittime di mafia sono uguali – ha
ricordato Vincenzo Brascia, coordinatore della sezione bitontina di
“Libera”, – e il dolore è uguale per tutti».
Già,
perché la marcia di ieri organizzata dall’associazione creata da don
Luigi Ciotti, voleva ricordare anche loro. Ma ribadire che la mafia
esiste ancora e si combatte non voltando la testa dall’altra parte o
con l’omertà, ma narrandola e raccontandola.
Proprio
come sta facendo il papà di Michele Fazio, Giuseppe, il ragazzo
16enne ucciso per errore dalla criminalità barese in una calda
giornata del 2001. Ieri è stato nella città dell’olio per
raccontare la sua reazione: andare nelle scuole pugliesi e invitare i
più giovani a non avere paura e combattere; usare la stampa e i
mezzi di informazione per far capire ai Capriati e agli Strisciuglio
che a Bari vecchia non comandano loro.
A
Bitonto, invece, vince l’indifferenza, perché alla marcia la città
era assente. Come già successo altre volte nel recente passato.
C’erano soltanto “Libera”, i ragazzi del Centro di aggregazione
giovanile, le forze dell’ordine, i volontari del Nucleo di protezione
civile, qualche amministratore. Un centinaio di persone. Non di più.
Nessuna traccia anche dell’assessore alla Legalità, Rocco Mangini. Perché?
Quelli
che c’erano, insomma, sono partiti da piazza Cattedrale recando una
fiaccola in mano e mostrando striscioni e cartelloni. Il viaggio è
finito in via San Luca, un anfratto a due passi da Palazzo Vulpano,
ma soprattutto cuore pulsante delle attività criminali della città.
Non a caso. Quì, infatti, in un immobile abbandonato da anni, Libera
e il Centro di aggregazione giovanile hanno deciso di localizzare la
nuova sede.
Chiaro
è il segnale: la criminalità si contrasta anche riprendendoci il
territorio. Non restando a casa fermi e impauriti, perché a lungo
andare ci succhierà anche l’anima e la dignità.
«Dobbiamo
ricordarci – ha spiegato il
sindaco Michele Abbaticchio – che la città è nostra, ci
appartiene e dobbiamo riprendercela. Questa struttura (immobile
di via San Luca, ndr) ci servirà anche per accogliere le
famiglie dei bambini che vivono qui. Il prossimo obiettivo adesso è
riprenderci anche via Togliatti, dove la settimana prossima
inizieranno i lavori per la riqualificazione del campetto di calcio
ormai abbandonato».
Don
Ciccio Acquafredda, invece, si è rivolto ai giovani. Loro possono
cambiare la società a patto che non vadano lasciati soli e siano
sempre stimolati.
Magari
anche seguendo l’esempio di Peppino Impastato, altro cadavere
eccellente di mafia, di cui ieri sono state lette alcune poesie.