La giustizia in terra italica è quella che è.
Tempi biblici, cause che si trascinano stancamente nei secoli, leggi che si lasciano interpretare mollemente, spesso in chiave giustificatoria.
Insomma, stiamo messi male.
Tuttavia, c’è un uomo – una entità sovrannaturale, verrebbe fatto di dire – che, calendario alla mano, nel cuore di ogni settimana già emette la sentenza acconcia.
Su episodi accaduti la domenica precedente, addirittura.
Una puntualità elvetica, più che tricolore.
Un mostro di efficienza.
Stiamo parlando del Giudice Sportivo.
Colui che è chiamato ad emanar verdetti su quello che proprio sportivo non è.
Lo immaginiamo mentre, il lunedì, corrucciato sfoglia tutte le nefandezze che incendiano i campi di calcio, vieppiù del meridione.
Quanta pena proverà, ne siamo certi.
Al momento di leggere, poi, il referto del signor – titolo, spesso, gratuito – Federico Votta della sezione di Moliterno, la sua fronte si sarà corrugata ancor di più.
Ed in effetti il prato d’erba fasulla del neutro di Terlizzi si era trasformato in un umano, indecoroso inferno, anche grazie a fischi un po’ avventati del suddetto direttore di gara.
Ma nulla – e sottolineiamo: nulla – giustifica la bolgia che ne è susseguita.
Però, c’è un però.
Fra gli sventurati finiti sotto la scure del Giudice spicca anche il nome di tale Incantalupo Vincenzo, della società neroverde, che risulta inibito fino al 12 marzo prossimo.
Non una tegola, ok, ma sempre una nota stonata.
Già, perché trattasi del medico sociale dei leoncelli e pare sia stato allontanato perché voleva prestare soccorso al calciatore viestano Caesar atterrato in area da un impalpabile Daddario.
L’austero e irreprensibile direttore di gara, che già non era stato sfiorato dal benché minimo dubbio nell’attimo fatale di decretare il rigore (e figuratevi…), notava quest’uomo accanto al pedatore garganico e, mente lucida come poche, lo allontanava trucemente dal terreno di gioco.
A fine gara, il dottor Incantalupo – persona garbatissima dal sorriso persino irenico – attendeva il ritorno dell’ambulanza e da una operatrice apprendeva, con profondo rammarico, che ci aveva visto giusto: il giovane omonimo del grande imperatore romano si era fratturato la fibula, “osso dell’arto inferiore accanto alla tibia“, aggiungeva professionale il saggio “delegato” di Ippocrate.
Bene, lui ci aveva visto giusto, la giacchetta nera molto meno.
Che possiamo farci, sarà per un’altra… Votta.
Anzi, speriamo di no.