La
storia, purtroppo, la conosciamo. Subito dopo la fine della guerra,
tra il maggio e il giugno 1945 (anche se tutto inizia già nel 1943),
migliaia di italiani della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia sono
arrestati dall’esercito jugoslavo guidato dal dittatore comunista
Josip Tito.
Moltissimi
sono uccisi con esecuzioni sommarie (le cifre più autentiche parlano
di oltre 350mila) e i corpi gettati nelle foibe, le più famigerate e
orrende fosse comuni mai esistite. Tanti altri, però, sono buttati
vivi.
Eccola,
allora, la tragedia degli infoibati, altro capitolo tristissimo della
nostra storia per troppo tempo sottaciuta. Riconosciuta ufficialmente
soltanto nel 2004, quando l’allora presidente della Repubblica, Carlo
Azeglio Ciampi, istituisce il “giorno del ricordo”.
Vuole
ricordare anche la fondazione “Italia protagonista”, che sabato
ha organizzato un evento/dibattito sulla tematica nei locali del
Circolo Unione. «Tematica che – ha
introdotto Mario Sicolo, direttore del daBITONTO – deve
farci capire che è stata una tragica violenza efferata, ma anche
chiedere chi è che non ha visto quando doveva vedere».
Già.
Per molto, troppo tempo neanche i libri di storia dati in pappa ai
bambini hanno visto. Parlavano soltanto di Shoah o giù di lì. La
musica, per fortuna, è cambiata. «Ai più piccoli non bisogna
nascondere la verità», è stata la voce di Carmela Rossiello,
che ha passato in rassegna il lavoro compiuto dalla sua scuola, “don
Bavaro” di Giovinazzo.
Di
storia negata ha parlato anche Domenico Damascelli, che ha ricordato
il lavoro di ricordo svolto dall’amministrazione targata Raffaele
Valla (2008-2012), e che negli ultimi anni, invece, sarebbe
andato perduto. E ha attaccato «Dal Comune non sono più stati
fatti manifesti in tal senso da tre anni a questa parte». Poi la
proposta, vecchia, ma che è tornata a galla. «Chiederò, come
già fatto quando sono stato vicesindaco, che sia intitolata una strada ai
martiri delle Foibe».
Perché
questa tragedia? Perché infoibare gli italiani? Si
associano spinte e fattori diversi. Natura ideologica (scontro tra
fascismo e antifascismo), nazionale (appartenza territoriale, e
discriminati per il solo fatto di essere italiani), sociale (lotta di
classe), religiosa (persecuzioni anche per il solo fatto di essere
cristiani).
Nell’Istria
dell’epoca, infatti, strappata di punto in bianco al Belpaese con il
trattato di Parigi del 1947 e ceduta agli angloamericani e jugoslavi,
gli italiani erano perseguitati, costretti alla fuga (quando ci
riuscivano, ovvio) anche perché erano cristiani.
Ecco
allora “I martiri della Chiesa – il martirologio Giuliano”, il
libro con cui Giuseppe Dicuonzo racconta quell’esperienza.
Anche
lui, nato a Pola nel 1944 e attuale referente per l’Italia
meridionale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
(Anvgd), è stato un perseguitato ma è riuscito a sopravvivere.
E
non ha perso la memoria. Specie su alcuni punti: in Istria è stato
attuato un preciso programma di pulizia etnica studiata a tavolino
perché gli italiani dovevano essere cacciati dalle coste e gli
jugoslavi raggiungere il mare. Più di 1.700 le foibe registrate,
dove chi doveva morire veniva gettato non prima di essere seviziato e
spogliato senza alcuna pietà. Tra il 1943 e il 1954, le truppe
comuniste di Tito (uno, che per dire, era anche inviso all’Unione
Sovietica), hanno ucciso ben 39 sacerdoti soltanto per “Odium
Fidei”. Numero che diventa via via più pesante considerando le
suore morte a causa dei bombardamenti di Zara, Pola e Fiume.
Le parole di don Gianni Giusto, parroco della chiesa di San Francesco da Paola, hanno fatto capire tante cose. “La storia è scritta soltanto dai vincitori”.