Ambientazioni, musiche, scenografie e riferimenti all’attualità
con le effigi di Bin Laden, Kennedy, Lenin, la regina Elisabetta sulla corona
che campeggia sul palco del teatro “Traetta” ed un rapido passaggio sull’attacco
alle Torri Gemelle.
É un “Re Lear” riadattato e reinterpretato in
chiave moderna quello messo in scena da Michele
Placido, protagonista, curatore della traduzione e dell’adattamento con Marica Gungui, e regista
al fianco di Francesco Manetti.
Ora
come secoli fa, nella scrittura originale di Shakespeare, si racconta il crollo
delle certezze di un’epoca e la precarietà di ciò che ne seguirà (se seguirà).
Lear è un vecchio monarca ormai senza regno che si
aggira in una terra desolata, come una periferia industriale, piena d’ipocrisia
– quella delle figlie Goneril e Regan, che lo hanno prima adulato e poi tradito –
e solitudine – provata dalla figlia Cornelia, l’unica che davvero lo ama e non
ha avuto parole per spiegarlo.
Ecco: un continuo confondere l’amore con le parole che
lo renderà pazzo.
Una storia di guerra ma, nel contempo, la dichiarazione
della doppia natura della parola. Da un lato, insufficiente a definire il più
forte dei sentimenti, dall’altro capace di generare una sanguinosa guerra senza
vincitori e creatore di sole macerie in un universo che non esiste più.
Un turbinio di emozioni vagano tra la caparbietà delle
donne, la follia degli uomini, l’odio e l’inganno persino verso i propri
genitori: la pazzia del re coinciderà con quella della tempesta della natura,
così come quella della società, dei valori, della religione.
Ma, solo dopo aver toccato il fondo, un eroe è in grado
di rialzarsi: dopo l’insania e la cecità – per non aver saputo capire o vedere -,
Lear e il suo alter ego Gloucester, accompagnati dai figli, unici ad aver
mantenuto il cuore puro, torneranno a capire e vedere la realtà.
Toccherà, infatti, a Cordelia il compito di
accompagnare le ultime ore del re stanco, intonando la struggente “Hallelujah” di Leonard
Cohen e la solenne “Corpus
Christi Carol” di Benjamin Britten nelle memorabili versioni
di Jeff Buckley e sarà Edgar a salvare il padre, con amorevole inganno, che
tenta il suicidio gettandosi da una roccia.
Due ore e quarantacinque di spettacolo dai toni e contenuti
forti e qualche scena osé: il classico shakespeariano, pur stravolto e riletto
da Placido, alla fine raccoglie un lungo scroscio di applausi.
«Quello
che accade oggi nel mondo, le brutture e la guerra – racconta
Placido ai nostri taccuini – è tutto
scritto in queste tragedie, è tutto previsto. È lì la grandezza di un classico:
ti insegna come resistere alle brutture e ai drammi dell’uomo».
Inutile illudersi. L’uomo nel tempo non cambierà.