Venerdì
sera l’atmosfera al Torrione era decisamente particolare. Non tanto
per la presentazione del libro in sé – Lascia
che il mare entri– quanto per l’autrice: Barbara Balzerani.
Già,
proprio l’ex terrorista e membro delle Brigate rosse, che negli anni
’70 – ’80 ha fatto parlare per l’omicidio al magistrato Girolamo
Minervini, per aver partecipato al sequestro dell’ex presidente della
Democrazia cristiana Aldo Moro, per aver preso parte all’assassinio
dell’allora sindaco di Firenze Lando Conti e al sequestro del
generale Nato James Lee Dozier. È arrestata nel 1985 dopo alcuni
anni di latitanza, è condannata all’ergastolo ma nel 2006 ottiene la
libertà vigilata e nel 2011 è tornata a essere libera.
Da
allora, ha iniziato una nuova vita. Non soltanto come lavoratrice in
una cooperativa di informatica, ma anche come scrittrice,
«raccontando
storie attraverso storie scritte», come
lei si è definita,
e “Lascia
che il mare entri” è
il suo primo romanzo e
la sua 5°pubblicazione. Diversa dalle altre, perché qui Balzerani
recupera il rapporto con i suoi antenati, in una sorta di ricordo
appassionato dell’Italia che fu. Un Paese contadino, niente a che
fare con quello “progressista” e veloce di oggi, da condannare
senza appello. È una genealogia
di donne forti, in cui c’è un dialogo fra donne che non si sono mai
conosciute – l’autrice e la sua bisnonna – e donne –
l’autrice e sua madre – che hanno accolto in maniera diversa il
tempo nuovo, del boom economico prima e delle possibili rivoluzioni
dopo.
C’è
la bisnonna, appunto, «alla
quale invidiavo il suo equilibrio – ha
detto – e
la sua capacità di badare all’essenziale senza fronzoli. Si alzava
all’alba tutte le mattine e andava a sgobbare nei campi fino a sera
tardi e in inverno, finite con gli affari campagnoli, si metteva in
letargo».
Poi
c’era la mamma, altra figura essenziale. Nata nel 1908, aveva la
grande passione per la scuola e i libri, «uniche
via di emancipazione per i poveracci», è
convinta l’ex brigatista, una donna operaia figlia del suo tempo ma
che ha avuto forse il difetto di essere succube delle decisioni del
marito, il papà di Barbara, fino a quando non ha deciso di
“ribellarsi” dicendo di apprezzare Pietro Nenni.
Donne,
si diceva, espressioni di una Italia passata. Che non ha nulla a che
fare con quella di oggi, «dove
il progresso la fa da padrona – ha
sottolineato convinta la scrittrice veneta –e ci rovina e dove il flusso di informazioni che ci arrivano non ci
dà il tempo di assimilarle facendoci diventare soltanto contenitori.
Il progresso non è positivo, perché ha distrutto tutto ed è
necessario fermarsi per interrompere i guai».
Ma
perché Balzerani ha sentito l’esigenza di ricostruire la sua
genealogia?«Perché
credo che debbo soprattutto a mia madre alcuni principi non
sindacabili, come il rifiuto di fare mercato del rispetto di me
stessa e di valere per quello che posso e so, senza soggezione nei
confronti dei potenti e cadere nella trappola delle relazioni
competitive. Con gli uomini ma, soprattutto, con le donne. Ho
vissuto il tema dell’emancipazione come un cedimento funzionale al
sistema borghese che poteva permettersi di accoglierne l’esistenza
senza danno. Intollerabile mi appariva la divisione in generi e non
in classi, la sottesa iscrizione delle mie simili a una “fascia
debole” da tutelare, l’appartenenza delle militanti a una élite
culturale socialmente medio alta, terreno di caccia per la politica
della sinistra istituzionale».
Ad
ascoltarla una platea che sembrava estasiata e quasi incantata da
queste parole…