Forse, solo i parenti, gli amici e chi gli era vicino possono sapere quanto grande fosse il cuore di Carlo Latilla, il giovane
bitontino che ha perduto la vita ieri, su una strada maledetta come la statale
100.
A noi, che non lo conoscevamo, è bastato leggere un commento sulla nostra pagina Fb – Facebook, l’agorà contemporanea, a quando fasulla, a quando autentica, come stavolta – per comprenderne la caratura morale: “Morto per
aiutare gli altri, tipico di Carletto”.
E adesso chi lo va a dire – sarebbe
meglio: gridare – al mondo, a chi ci governa, ai politici ingordi di tutto, a chi sta rubando il sogno ai
ragazzi, a chi vuole abolire l’articolo 18 perché anacronistico, a chi trova una occupazione soltanto a chi è raccomandato, che il nostro
concittadino stava andando in una città comunque lontana da Bitonto per un
colloquio di lavoro?
Già, a 27 anni era ancora in cerca di un domani e non
esitava – pensiamo, purtroppo – a fare quelle sedute persino un po’ tristi dinanzi ai
soliti gestoridellerisorseumanesorridentieincravattati che concludono tutto con
uno splendido e pilatesco “le faremo sapere”.
Era su quella pericolosissima lingua
d’asfalto che in massa percorrono mezzi d’ogni foggia, mentre l’autostrada
parallela è praticamente deserta ogni giorno, quando s’è fermato per dare una
mano ad alcune persone rimaste con l’auto in panne.
Poi, l’impatto tragico.
Un
attimo, fugace ed eterno, che ha portato via con atroce violenza Carletto a chi lo amava e lo
amerà per sempre.
No, non può passare con rapide dieci righe in
cronaca una morte così ingiusta e assurda.
Epperò, grandissima, straordinaria, meravigliosa,
soprattutto nell’Italia di oggi e nella Bitonto in cui viviamo.
Lì dove
dominano tutto indifferenza, arrivismo, cinismo, menefreghismo, opportunismo, egoismo e
tutti gli ismi più orrendi che possiate immaginare, Carlo, un bitontino, sì un
cittadino di quella che molti ritengono un crogiolo di malavita e mestizie
varie, voleva solo lavorare e ha donato la sua esistenza per aiutare degli
sconosciuti.
Ecco, vorrei che quest’articolo fosse lungo soltanto un minuto.
Un minuto di silenzio per non dimenticare l’alto
sacrificio di questo piccolo eroe dei giorni nostri e per offrire una dolce
carezza a chi lo aveva caro.
Piangete, piangete pure la grande anima di
Carlo.
Le lacrime siano lavacro consolatore per il vostro sterminato dolore.
Ma, poi, guardate
bene nel presepe del vostro cuore.
C’è un angelo in più. Di quelli veri.
Si chiama
Carletto…