Abbiamo visto Claudia Francardiin televisione e sulle copertine dei giornali, presentata come eroina del bene
e del perdono.
Ma diciannove ragazzi bitontini hanno avuto la possibilità di
incontrarla in un Meeting nazionale di giovani a Montefiascone.
Hanno ascoltato
la sua testimonianza rotta dal pianto, quando ricordava suo marito Antonio. E
hanno osservato quelle lacrime trasformarsi in teneri sorrisi, quando parlava
del giovanissimo carnefice del coniuge.
Claudia è la moglie del carabiniere ucciso a sprangate nel 2012 dal
ventenne Matteo, in viaggio verso un rave party. Dopo mesi di dolore e follia,
ha maturato la scelta di perdonare l’omicida di suo marito, per aiutarlo a innamorarsi
della vita e del mondo. Ora, insieme alla madre di Matteo, ha fondato
l’associazione AmiCainoeAbele e porta
nelle scuole e nelle carceri la sua storia di dolore e amore.
Cosa ricorda di quegli attimi in cui ha appreso la terribile notizia?
Era il 25 aprile del 2011, la
mattina del lunedì dell’Angelo. Stavo leggendo e aspettavamo Antonio, che
quella mattina non avrebbe dovuto lavorare. Stava facendo una sostituzione.
Antonio era così, semplicemente innamorato del suo lavoro. Non andava a
lavorare, ma andava in servizio. Poi è arrivato il Capitano dei carabinieri per
dirmi che era successo qualcosa a mio marito. Ho capito subito la gravità della
situazione e ho iniziato a urlare e a pregare. Antonio è morto dopo 13 mesi di
coma.
Quando è avvenuto l’incontro con la mamma di Matteo?
Irene mi ha mandato una lettera
subito dopo l’episodio. Ai suoi occhi era il modo più delicato per interagire
con me, perché una lettera se vuoi la leggi, altrimenti la metti in un cassetto
o la butti. Era una lettera semplice, in cui mi chiedeva perdono. Poi l’incontro
è avvenuto a ottobre 2012. La cosa più bella è stata l’abbraccio. Abbiamo
pianto tanto e ci siamo raccontate i nostri dolori.
Come sta adesso Matteo?
Non lo vedo da alcuni mesi,
perché io e Irene andiamo nelle carceri e nelle scuole a fare testimonianza. Ma
ci scriviamo tanto. So che alterna momenti di buio a momenti di luce, ha una
personalità tutta da ricostruire. Ora sta studiando Scienze dell’educazione e
prende 30 e lode a ogni esame. Vuole diventare un educatore.
Nello specifico, qual è il messaggio che lei e Irene volete comunicare?
Irene si accusa di omicidio
morale. Vuole andare dai genitori a dire di svegliarsi, di non dormire, e di
cogliere tutti i segnali di disagio che lanciano i proprio figli. Io, invece,
ho il sogno di parlare alle vittime. Mi piacerebbe indicare che esiste un’altra
strada oltre alla vendetta. È la strada del perdono.
E ai giovani come Matteo, quale consiglio darebbe?
Di non occuparsi solo
dell’esteriorità, dei vestiti firmati e del trucco, ma di curare l’anima.
Perché quando la vita darà loro sofferenza e buio, non troveranno
un’applicazione su internet per guarire. È un percorso che devono fare dentro
di sé, magari chiedendo aiuto a qualcuno.