Ora,
vorrei solo una cosa.
Vorrei che le mani di tutti
i bitontini avessero dita di petali per carezzare con tutta la tenerezza, che
palpita segreta nel mondo, il cuore di questa donna.
Un’Addolorata dei giorni nostri che in un battito di ciglia
ha visto la sua vita distrutta per sempre.
Perché no, non può finire così questa
storia maledetta.
C’è qualcosa di fatale e assurdamente tragico nella vicenda
dei due bitontini morti ieri mattina in un’azienda ittica della vicina
Molfetta.
Cielo beffardamente azzurro con qualche diafana nuvoletta, brevi
raffiche di vento che portano qui, nella zona industriale della città a noi vicina, l’odore del mare, lente palme assopite dentro
aiuole adornate da cartacce e lattine, un salice che già piange presago.
Nicola
e i suoi figli Vincenzo e Alessio, appartenenti ad una famiglia dalle
molteplici diramazioni nota per l’autospurgo, stanno assolvendo al loro compito:
ripulire una cisterna.
Operazione quasi consueta, pare.
A calarsi per primo è
il più giovane, forse perché più agile.
Sembra che qualcosa non vada per il
verso giusto, un tombino – sinistro diminutivo – in fondo dà problemi.
Alessio
si attarda un po’ troppo.
Non è il momento di fare molti calcoli, c’è una vita
da salvare laggiù.
Vi si fiondano dentro il papà ed il fratello più grande.
La
catena dell’amore ha un sussulto disperato.
Le mani si stringono, ma la forza
non basta.
Il veleno delle esalazioni subdolo entra nel respiro dei tre, infragilisce i corpi.
Ed è
vento gelido di morte.
La cisterna si trasforma presto in un sepolcro
straziante.
I soccorsi concitati, le sirene delle ambulanze, le pantere dei
Carabinieri. Gli inquirenti sul cantiere per stabilire le cause dell’immane
tragedia. Niente da fare.
A noi restano solo interrogativi crocifissi sul Golgota della nostra anima.
Com’è
possibile ancora morire di lavoro, oggi, nel 2014?
Com’è possibile che questo
accada qui da noi, a poche centinaia di metri dalla Truck center, azienda
molfettese che sei anni fa registrò analoga falcidie?
La sicurezza sul
lavoro è diventata davvero indispensabile cultura oppure è solo cinico business senza alcun concreto
riflesso sulla vita di tutti i giorni?
Intanto, un uomo di cinquant’anni e suo
figlio di 28, già padre di un bambino, con la loro vita vissuta, le loro passioni ed i loro sogni non ci sono
più.
Le chiamano morti bianche, queste, ma non c’è candore nel morire così. Ma solo orrore, mestizia e rabbia. Tanta rabbia.
La
moglie di Nicola e madre di Vincenzo e Alessio, corsa al capezzale di
quest’ultimo, che lottava strenuamente per restare accanto alla mamma, ultimo
anello dell’amorosa catena, non ha resistito a sì grande schianto.
Ecco, adesso
le mani dei bitontini tengano forte forte questa catena, col calore dell’amore pieghino il ferro del
dolore e non abbandonino la signora.
È il momento di essere famiglia, in uno
dei giorni più tristemente bui della nostra città.