Quarta giornata e tutto volge al termine. Come tutto,
alla fine c’è sempre il meglio, il dolce.
Nell’ultimo appuntamento del “Link Festival” è intervenuta Piera
Detassis, direttrice di “Ciak”,
storica rivista sul cinema.
Cosa significa oggi essere direttore di un giornale,
vincere il mercato della concorrenza, essere un bravo giornalista?
Forse domande a cui difficilmente c’è una sola ed unica
risposta e spesso la si rintraccia nel lavoro quotidiano, quello fatto col
fiato sul collo.
«Per
fare il direttore oggi devi essere un
manager: è come fare pattinaggio sul ghiaccio per trovare pubblicità e
sponsor, rintracciare le giuste risorse economiche ed essere concorrenziali ma
dare sempre grande qualità – ha commentato la Detassis -. Non puoi più avere quello che hanno tutti,
il mercato ti vuole originale. Devi fare interviste, avere materiali che gli altri non sono in grado di avere, cogliere
in anticipo il movimento del mercato: dagli autori a lavoro ai fenomeni che
funzioneranno».
Un consiglio ai giovani? «Non si può fare giornalismo senza una ricca rubrica telefonica e un ottimo
rapporto con l’ufficio stampa che non bisogna mai scavalcare – chiude la
direttrice di Ciak – e,
soprattutto, il bravo giornalista non fa
mai il copia – incolla, non avrebbe
senso».
Parere tecnico sul mestiere del critico cinematografico
giunge invece dal prof. Gianni Canova,
direttore del magazine “8 e mezzo”.
«Il
critico è quello che all’uscita di un film dice cosa ne pensa. A me non va: mi
va di dire cosa penso – irrompe Canova –. Il giudizio di valore è soggettivo e non mi piace che si
attribuiscono a valori soggettivi dell’oggettività perché dimostrazione di
arroganza e presunzione».
La polemica alla rete non tarda ad arrivare. «Oggi manca la cura degli aggettivi, ci
sono delle recensioni da boia, da tifo calcistico – aggiunge -. Siamo nella cultura dove se il prodotto (che
sia un film, un gruppo musicale) è di nicchia è figo, non appena diventa
popolare diventa obsoleto, da evitare, non degno di nota. Prima di democratizzare l’accesso alla rete bisognava diffondere la
cultura».
«Tra
le generazioni c’è stato un salto di “parabola” e si è sforati nel paradigma
iconocentrico – spiega il professore – Goya quando produceva le sue acqueforti
dietro ci scriveva “Io c’ero”. Ora credete che un fotografo ne abbia bisogno?
Eppure, le foto, anche quelle di guerra, avvengono post factum, si inquadra
qualcosa piuttosto che altro: significa escludere. È ossimorico, si tratta di una autentica menzogna».
Cosa deve fare oggi un giornalista per essere quanto
più reale e concreto possibile? «Mi da
fastidio il pressappochismo. Il giornalista deve sapere quello che dice, non
prendere in giro il lettore, altrimenti diventa come un medico che davanti ad
un paziente non sa diagnosticare una malattia. Il vero fautore dell’informazione
cinematografica deve far venire voglia di andare al cinema perché il cinema non è specchio del mondo, è
creatore di mondi».